mercoledì 15 novembre 2006



Su la Repubblica Mario Pirani continua a scagliarsi contro il Viva Maria aretino e in generale contro quella importante pagina della storia italiana degli anni di Napoleone, che va sotto il nome di Insorgenza. Non sopporta che ad Arezzo la vecchia giunta abbia fissato la memoria del grande moto popolare che ebbe Arezzo come epicentro fra il 1799 e il 1800 con una piccola e semplice targa in una piazzetta secondaria.
Non sarebbe infatti “politicamente corretto” secondo lui commemorare movimenti che per le loro finalità — nella fattispecie la resistenza contro la Rivoluzione di Francia, portata dagli eserciti di Napoleone e fatti propri dal giacobinismo italiano — si pongano fuori dal quel canone riassumibile — come scrive — nel «binomio Resistenza-Costituzione», con tutte le sue possibili proiezioni all’indietro e in avanti. Poi, guarda caso, nella liberazione di Siena gli aretini si sarebbero macchiati dell’eccidio di tredici ebrei, il che porrebbe il moto ma anche tutto il ciclo dei moti anti-francesi italiani a cavallo dei secoli XVIII e XIX sotto la sinistra luce dell’antisemitismo di matrice cattolica.
Senza entrare nel merito — qualche elemento in più si può trovare in un commento che ho scritto per il sito “Storia & Identità” (
www.identitanazionale.it) — mi domando che senso ha negare spazio a realtà enormi come il Viva Maria solo perché ritenute “scorrette”. Che senso ha amputare la memoria, anche pubblica — accanendosi contro una piccola lapide —, nazionale di parti essenziali — quanto meno sotto il profilo fattuale — se si vuole capire che cos’è realmente l’Italia, a che prezzo si è costruita, che cosa vive nel profondo dell’ethos nazionale. L’Insorgenza c’è stata, è stata grande, ha perso, ma ha lasciato tracce che stanno un po’ alla volta affiorando dopo secoli di censura. Pensare oggi a un’Italia di domani senza tener conto di queste sacche di “scorrettezza” sarebbe un tragico errore.
E poi il signor Pirani è davvero convinto che un’Italia senza i giacobini e senza Napoleone o in cui per assurdo l’Insorgenza avesse vinto sarebbe stata solo un enorme rogo di ebrei? O, magari, invece si sarebbe evoluta in forme più soft e in armonia con le sue radici, magari, per la sua frammentazione storica, “all’inglese” o “alla svizzera”, evitando o riducendo le tragedie del centralismo e dell’ideologismo che l’hanno attanagliata nei duecento anni da allora?

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