Riferisce
La Stampa di oggi che la Libia è diventata ormai il “quartier generale di Al Quaeda”.
Dopo essere state respinte dal Mali le formazioni armate islamiche fondamen-taliste
si sarebbero attestate nel sud del Paese, impiantandovi tre campi di
addestramento.
Fin
qui, niente di particolarmente rilevante: la guerra al terrorismo conosce fasi
alterne e i protagonisti ormai si muovono in un teatro quasi globale. Per
questo ora di Al Quaeda parlano le cronache asiatiche, ora quella africane, ora
quelle mediorientali.
Ma,
dal punto di vista dell’Italia la notizia non può essere sottaciuta: finora Al
Quaeda è stato per noi un fantasma, un fantasma di morte che però insanguinava
scenari lontani. Ora, invece, s’insedia in un Paese il cui nord dista poche
decine di miglia dalle nostre coste. Certo, la distanza è ancora notevole: ma
chi può dire che fine farà la Libia? Che cosa accadrebbe se il governo
rivoluzionario libico fosse rovesciato e le forze amiche di Al Quaeda s’installassero
a Tripoli? E, comunque, già adesso, chi può sapere se fra coloro che approdano
apparentemente migranti o profughi sulle nostre coste non siano militanti del
gruppo in via d’infiltrazione in Europa?
Si rivela qui un altra debolezza del nostro anziano Presidente e capo virtuale degli ultimi governi, Giorgio Napolitano. Oltre ad aver imposto alla nazione un governo che l'ha messa letteralmente in ginocchio (cosa che peraltro sta rifacendo con il goveno Monti-bis guidato da Enrico Letta), a suo tempo si è dimostrato quanto mai zelante nell'eseguire gli ordini provenienti dall'estero accettando di buon grado di far partecipare il nostro Paese alla guerra scatenata contro Gheddafi dalla Francia con l'obiettivo di sottrarci il petrolio libico. Recidendo così il legame con il nostro più vicino e più fruttuoso retroterra, strategico per i nostri approvvigionamenti energetici. Come si sa, l'Italia dipende dal petrolio e dal gas naturale in misura molto maggiore che non altri Paesi d'Europa, avendo abolito molti anni fa il nucleare con un semplice referendum popolare. E il governo Berlusconi, consapevole di ciò, aveva fatto vere e proprie acrobazie diplomatiche, al limite dell'ignominia (forse qualcuno ricorda il baratto fra petrolio e autostrada costiera libica o le follie dell'ultima visita del dittatore beduino a Roma), per mantenere il rapporto con il pazzotico dittatore libico. E solo per la forte moral suasion (poi peraltro trasformatasi in vera e propria intimazione dei classici "otto giorni") di Napolitano aveva deciso di appoggiare le operazioni franco-americane contro la Libia di Gheddafi, il quale, oltre al petrolio, ci garantiva un relativa sorveglianza sull'emigrazione verso la Sicilia e comunque una stabilità generale del Paese africano a noi vicino.
Già adesso, riferisce l’articolo, il nuovo governo libico, diviso, mostra la
più totale inerzia verso l’ingresso sul suo territorio di formazioni militari
terroristiche.
E il nuovo governo italiano "del presidente" che cosa fa o conta di fare adesso che il latte è stato versato? Che Dio ce la mandi
buona…