venerdì 3 aprile 2009

L’opposizione ha un nuovo leader?
La lunga marcia dell’on. Fini da delfino di Almirante a “guida” dei “laici”


Il Presidente della Camera dei Deputati, terza carica istituzionale della Repubblica italiana, on. Gianfranco Fini, ha smesso di “mangiare pane e bioetica”, come fino a non molti anni addietro era solito fare. Oltre a un vigoroso anticomunismo democratico, si può dire che lo contraddistingueva proprio un vivace e ribadito amore per la vita umana “senza se e senza ma”.
La “svolta di Fiuggi”, da lui in prima persona voluta e realizzata nel prospettiva di un partito conservatore nuovo, ebbe fra le sue principali finalità proprio quella di porre fine alle ambiguità in materia etica e bioetica da cui il Movimento Sociale Italiano, nonostante il suo schieramento contro il divorzio e contro l’aborto, per la coesistenza al suo interno di due anime, quella socialista e quella moderata, era senza dubbio afflitto. Così, al titolo Valori cristiani e impegno politico: persona, famiglia, diritto alla vita, a Fiuggi fu detto innanzitutto: «Nostro primo obiettivo è quello di favorire condizioni di vita che permettano alle persone ed ai gruppi di vivere nella libertà dell’onestà e della solidarietà sociale. Ci sentiamo eredi e siamo cultori della civiltà romana e di quella cristiana che ha le sue radici nel messaggio portato da Pietro a Roma e diffuso in Occidente e nel mondo intero. Siamo quindi attenti al Magistero della Chiesa con particolare riguardo alla sua dottrina sociale e quindi alla cattolicità che ha indubbi riflessi sulla cultura e sulla vita sociale del nostro Paese». E, poco oltre, «Capitolo decisivo nella promozione e nella difesa dei valori è quello della persona. Un ruolo centrale in questo senso va assegnato al valore della vita. Non si possono sufficientemente tutelare i diritti di libertà e dignità umana se non si promuove innanzi tutto il diritto alla vita. Va quindi combattuta quella cultura della morte che, come dice Giovanni Paolo II, pervade oggi la civiltà occidentale. Questa cultura ha cominciato ad affermarsi nel tempo in cui è stata legalizzata la pratica abortiva e ora sta per raggiungere nuovi, agghiaccianti traguardi con l’eutanasia, la manipolazione genetica e la clonazione degli embrioni umani».

Mi sembrano parole che non lascino molto margine di equivoco: la vita, anche quella embrionale, va difesa senza troppi distinguo.

Tuttavia, da un po’ di tempo il nostro uomo politico sembra si stia “smarcando” sempre più da questa linea e da questa cultura, anzi che abbia rivisto in buona misura la sua prospettiva ideale e politica. Non credo che basti a spiegarlo dire che Alleanza Nazionale, il cui biglietto da visita erano appunto le tesi approvate a Fiuggi nel 1995 – quindi non cinquant’anni fa, ma proprio “ieri” –, non c’è più: la svolta culturale finiana risale a ben prima. I primi sintomi si erano manifestati in occasione del referendum del giugno del 2005 contro la legge n. 40 del 2004, allorché egli dichiarò senza mezzi termini che avrebbe votato contro il mantenimento della norma che regolava e regola la manipolazione degli embrioni umani. Da allora in poi le prese di posizione si sono moltiplicate fino al recente discorso in occasione del congresso di Alleanza Nazionale del 22-23 marzo, che ne ha sancito la confluenza nel Popolo delle Libertà, e del successivo intervento al convegno di Forza Italia, pochi giorni dopo, in cui il partito del premier ha attuato analoga operazione. In entrambe le occasioni Fini a tenuto a ribadire il carattere “laico”, ovvero areligioso, delle istituzioni repub­blicane, a rivendicare la separazione fra Stato democratico e Chiesa e a criticare modus operandi legislativi volti a porre limiti etici a prassi potenzialmente eversive e deleterie, come il trattamento degli embrioni umani per scopi di ricerca e il cosiddetto “testamento biologico”.

L’ultimo anello di questa catena sono le dichiarazioni rilasciate ad alcuni giornalisti parlamentari nel pomeriggio del 2 aprile, all’indomani della dichiarazione d’incostituzionalità di due articolati parziali della legge n. 40 sul trattamento degli embrioni umani da parte della Consulta. Secondo Fini – trascrivo dall’Ansa – «la sentenza […] che dichiara illegittime alcune norme della legge 40 rende giustizia alle italiane. Specie in relazione alla legislazione di tanti paesi europei. È evidente che quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso, è suscettibile di censure di costituzionalità, in ragione della laicità delle nostre istituzioni». Il crescendo, con queste ultime parole, sembra proprio essere giunto all’acme.

D’ora in poi sarà sempre più difficile pensare a Fini come uomo di “destra”, come conservatore, come uomo che ha veramente a cuore quel bene assoluto della patria, della nazione italiana, che ha rivendicato con tanta passione nell’esordio del suo primo discorso alla Fiera di Roma come il Leitmotiv, il valore di fondo della prospettiva con cui Alleanza Nazionale era vissuta per quindici anni e ora entrava nella più grande realtà del “partito degl’italiani”. Evidentemente, se a lui stanno a cuore le donne italiane (ma quali e quante?), non hanno altrettanto posto nella sua azione politica quegl’italiani (quanti?), ancora minuscoli fino a essere invisibili ma veri e totalmente umani, costretti a vivere nei congelatori oppure buttati con nonchalance nel lavandino di asettiche cliniche della fertilità o di laboratori biochimici. I rilievi su queste recenti esternazioni sarebbero moltissimi e non poco eloquenti sullo spirito e sulle prospettive che animano oggi il numero 2 del Pdl: provo a formularle in forma interrogativa.


Il Presidente del ramo “basso” del Parlamento asserisce che una legge del Parlamento ha perpetrato una ingiustizia nei confronti delle donne italiane: è ammissibile, nel suo ruolo? Se fossi il presidente della Camera di allora mi sentirei dare indirettamente dell’imbecille e dell’omissivo.
E poi c’è piena coincidenza fra “illegittime” e “anticostituzionali”? e se la carta costituzionale fosse magari in qualche punto contro il diritto statu nascenti, che scaturisce dalle cose non dagli accordi, anche perché vecchia di sessant’anni, cioè nata quando – come è stato fatto giustamente osservare – i problemi bioetici non esistevano o, al massimo, rimandavano all’eutanasia e alla clonazione praticate dall'abominevole nazionalsocialismo hitleriano? Il richiamo ai Paesi europei è poi davvero sconcertante: lascia intendere che questi Paesi siano a priori dei punti di riferimento, se non di esempio. Viene da chiedersi se anche la Spagna socialista, che teorizza i diritti delle scimmie, sia un riferimento... Oppure l’Olanda che uccide i bambini malformati...
Infine, la confusione, indegna della terza autorità dello Stato, fra dogma, etica, religione e laicità. Mi spiace dirlo, ma nonostante i suoi cinquantasette anni, almeno quaranta dei quali passati a far politica, e il suo altissimo ruolo politico, se davvero l’on. Fini pensa come si esprime – ma voglio fargli credito di una vis polemica che obnubila la precisione terminologica –, credo che non gli farebbe male un corso di scienza politica per operatori per addetti alla politica.
Certo, uno Stato non si può costruire sui dogmi: non è pensabile una legge che promulghi in Italia il dovere di credere nell’Immacolata Concezione di Maria Vergine o nella presenza di Cristo nell’Eucarestia. Ma una legge, se non recepisce un bisogno normativo insito in un rapporto sociale, per di più nuovo, che legge è? È il registro delle opzioni voluttuarie e delle più stravaganti pretese? Oppure una norma e, come tale, tendenzialmente esemplare?
Che cos’è, ancora, la laicità per Fini? Nelle sue parole il termine “laico” di certo non è usato, come corretto, in antitesi a “chierico”, ma esprime solo la tesi che le istituzioni non abbiano carattere confessionale e – qui sta il magis, il di più, e si entra nel non condivisibile –, che non riflettano alcun criterio etico, anzi, meglio, che riflettano il solo concetto etico ammesso: ovvero l’etica ideologica dei desideri e dell’arbitrario.
Questo percorso, questa non breve trasmigrazione da “destra” – una destra di certo imperfetta sotto il profilo dottrinale, ma per diversi aspetti non disprezzabile – a una visione che pare azzardato definire “liberale”, mentre pare piuttosto liberal o radicale oppure, oso, “di sinistra”, lascia sconcertato e, in certa misura, anche addolorato chi in tempi passati ha apprezzato non solo le doti tecniche del personaggio ma anche non poche – anche se non tutte – le sue idee politiche.
C’è una spiegazione di questa “svolta” che, a prima vista, pare squisitamente personale? Anche se è prematuro trarre delle conclusioni mi pare che qualche ipotesi, non tutte benigne, sia possibile formulare.
La sua critica – espressa con insolita “sgangheratezza” di termini – e il suo porsi in controtendenza non solo con il suo partito di poco fa e con la classe dirigente di esso, ma anche e soprattutto con la leadership del neonato Pdl e contro le sue correnti moderate e credenti – come il gruppo di cattolici che fa capo a Roberto Formigoni e a Maurizio Lupi o come Alfredo Mantovano o come una certa ala della Lega –, si possono leggere sostanzialmente in tre prospettive.
La prima – ma anche la meno probabile – è quella di una mera schermaglia tattica contro Silvio Berlusconi per accrescere il peso della componente ex Alleanza Nazionale all’interno del Pdl.

La seconda è di carattere più personale: Fini punta al Quirinale e per arrivarci vuole non solo apparire “sdoganato” ma in sintonia con l’ideologia della Repubblica nata nel 1945, che è tuttora il risorgimentalismo – si veda anche in questa luce il recente peana indirizzato alla figura di Francesco De Sanctis, uno dei massimi artefici della “costruzione” in senso anti-religioso dell’identità de­gl’i­ta­liani – e l’antifascismo. Per cui deve presentarsi mondo da ogni scoria che possa essere sgradita ai tutori “forti” dell’ordine repubblicano: via il fascista almirantiano, via il credente, via l’appassionato di bioetica, via l’antifemminista, ecc. Anzi, per giungere alla meta deve figurare come promotore e – chissà... – forse “martire” dei valori in cui la Rivoluzione italiana si è incarnata nel secolo scorso.

L’ultima ipotesi è che il suo smarcamento – e questo suo latente atteggiarsi come il vero capo dell’opposizione – rientri invece in un disegno politico più contingente, che prevede la messa in difficoltà e la spaccatura del Pdl, una crisi politica, un governo istituzionale presieduto dalla terza carica dello Stato e nominalmente dedito a riformare la Costituzione, ma in realtà mero strumento per "rimontare" la nuova “insorgenza” moderata sotto il segno berlusconiano verificatasi nelle elezioni politiche dell’aprile del 2008 – a sessant’anni dalla prima, grande insorgenza degl’italiani contro il dogma ciellenista, quella del 1948 – e per affossare il Pdl, la realtà cioè che sta distruggendo gli schemi elitari dell’antifascismo e ha ridato, finalmente, agl’italiani moderati e cattolici una rap­pre­sen­tanza politica non più “strozzata” dalla Dc e deviata dai valori di un antifascismo apodittico, una “casa” – senz’altro ancora in costruzione e piena di spifferi, ma comunque una casa – in cui si possono sentire meno a disagio. Il gradimento di personaggi non secondari della scena politica come l’on. D’Alema e la senatrice Finocchiaro nei confronti delle esternazioni del Presidente della Camera paiono eloquenti in tal senso. Anzi, oggi si parla apertis verbis – lo fa Antonio Polito su il Riformista del 3 aprile – di un Fini “guida del fronte laico”.
E il disegno pare ancor meno campato in aria se si considera che al Quirinale siede un personaggio alquanto in sintonia con Fini sotto il profilo bioetico come Giorgio Napolitano, ovvero il più roccioso custode e vindice dei vecchi – ma tuttora vigenti – assetti repubblicani. Quella di una possibile rottura pilotata degli equilibri è una tesi su cui i politologi più qualificati ancora non si pronunciano. Al limite, come fa Stefano Folli su il Sole-24 ore del 3 aprile, vedono una ricaduta immediata delle scelte finiane in un comportamento “attivo” nel corso del dibattito che si aprirà a breve sulle due leggi che egli critica, quella sugli embrioni – le cui modifiche in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale la Camera dovrà attuare – e quella sul testamento biologico – che sta per essere discussa alla Camera. Tuttavia pare una prospettiva non del tutto illogica della “lunga marcia” del “delfino” di Giorgio Almirante.
Non è calcolabile il peso negativo che una sortita come quella di Fini – e, se l’ipotesi sarà confermata, il disegno che ho cercato di descrivere – possa avere sul futuro della nuova classe politica di centro-destra che è nata in Italia. Di certo non aggiungerà stabilità a questo Great Old Party all’italiana che ha appena emesso i primi vagiti ed è solo bisognoso di rafforzarsi al suo interno e nel rapporto con il blocco sociale e con le culture che stanno alla sua base.
Se si ha cara questa prospettiva, questa svolta autentica che potrebbe porre davvero fine a un regime ideologico ultrasessantennale che non vuol morire, occorrerà dunque vigilare. Ma senza scoraggiarsi e senza lasciarsi disorientare da mosse del genere. Siamo nel terzo millennio e quasi cinquecento anni dopo la nascita della modernità politica (Nicolò Machiavelli è morto nel 1527).
Allora non stupiamoci: oggi, più che mai, questa è la politica, baby!

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