DEL SOCIALCOMUNISMO
Il comunismo ha fallito su tutti
i piani: non è stato capace di creare la società senza classi e nemmeno di migliorare
le condizioni di vita dei lavoratori, che sono migliorate grazie al profitto,
redistribuito, del capitalismo moderno. Non è stato capace di creare
uguaglianza, ma solo feroci disuguaglianze di casta; ha saputo solo creare Stati
“teocratici”, dove una ristretta cricca di appartenenti al partito ha dominato
per decenni su inermi popolazioni anche di antica civiltà, massacrandone i
membri e distruggendone la fibra, l’identità, il passato. La Cina di oggi, la
Cina dell’aborto coatto, la Cina dove l’instaurazione del comunismo è costata almeno
cento milioni di morti, ne è l’ultimo e più triste esempio.
Dopo il 1989 l’impero socialcomunista
di casa-madre sovietica è crollato, l’ideologia comunista come tale non
affascina più, almeno in Occidente rimane patrimonio di piccoli gruppi
emarginati: ma, come i virus, il comunismo si è scisso, metamorfizzato e diffuse
in forme diverse. Dell’ateismo comunista condannato da Pio XI è caduta la
componente “comunismo” ma è restato vivo e vegeto l’ateismo, l’irreligione, il “progetto”
— ma forse in tempi di pensiero debole è eccessivo parlare di progetto — di una
vita senza Dio, anzi contro Dio, l’ultimo simulacro e il simulacro ultimo di
autorità da abbattere per far posto a una vita auto centrata sull’individuo,
sui suoi desideri, sulle sue passioni e velleità: una vita completamente
emancipata da Dio e dalla sua legge. Anzi, una vita che irride come antiumano ciò
che è religioso e chi religiosamente vuole vivere, da singolo e in forma
associata. Il comunismo non costruisce e non può costruire più niente: ma se non
c’è più la vernice, è rimasto il solvente.
Queste riflessioni mi affiorano
alla mente dopo aver visto il filmato del volgare sacrilegio compiuto sul palco
del concerto del Primo Maggio 2013 a Roma in diretta TV su una rete televisiva pubblica, che esige manu militari ogni anno una tassa di proprietà di qualunque apparecchio in grado di ricevere. Nell’occasione un giovane cantante
di un complesso — delle decine che si sono esibite sul palco con canzoni ed
esibizioni che veicolavano idee e stili di vita di certo non tutti edificanti —
si è presentato sul palco con il capo coperto dal cappuccio di una felpa — poi
si capirà perché — ostendendo, letteralmente, come un sacerdote che presenta al
popolo l’ostia consacrata, una confezione di preservativi e pronunciando parole
assai simili a quelle della consacrazione della messa — «Questo è il modello
che uso io, che toglie le malattie dal mondo, prendetene e usatene tutti, fate
questo, sentite a me» —; dopo di che, si è scoperto il capo, si è inchinato e a
ha mostrato una tonsura dei capelli simile a quella di un frate francescano,
con palese allusione alla figura di papa Francesco, lasciando intendere che il
suo consiglio di fare uso del condom
fosse una sorta di messaggio evangelico mediato dalla figura e nello spirito
del santo di Assisi.
E tutto questo è avvenuto a Roma,
di rimpetto alla basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma,
la sede del seggio di Pietro, della cattedra del Papa. Una piazza sempre più spesso
scandalosamente sequestrata dai sovversivi di ogni genere e stabilmente illustrata
dalla vicinanza di un’area ad alta concentrazione di locali per omosessuali.
Pensate solo se il cantante avesse parodiato l'adorazione che i musulmani prestano al Corano o se avesse scimmiottato Mohammad! Probabilmente non avrebbe visto l'alba...
Pensate solo se il cantante avesse parodiato l'adorazione che i musulmani prestano al Corano o se avesse scimmiottato Mohammad! Probabilmente non avrebbe visto l'alba...
C’è da rimanere sbigottiti del
fatto ma ancor più dalla debolezza delle reazioni — almeno a oggi 2 maggio,
quando i giornali non escono — che il fatto ha suscitato: lo stesso Corriere della Sera, nella sua versione online, ovviamente, ne accenna, ne
pubblica il filmato, ma sotto il titolo pilatesco Polemica per il condom in diretta; la Repubblica gli dedica,
oltre al filmato, solo un ridottissimo box
in cui menziona la sola reazione del gruppo Militia Christi; qualcosa di più La Stampa; persino Avvenire minimizza, limitandosi a un breve trafiletto in cui riporta le dichiarazioni, naturalmente di condanna, di Luca Borgomeo,
presiden-te dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart.
Il Primo Maggio dei lavoratori è divenuta
in realtà la festa di ciò che resta delle organizzazioni socialcomuniste di
controllo del mondo del lavoro e dei lavoratori delle fabbriche e dei campi, che
attraverso questa stanca liturgia musicale cercano di presentarsi come vive e
vitali ma in realtà raccolgono solo militanti e funzionari, nonché giovanotti e
giovanotte fanatici della musica popolare di avanguardia. E, attraverso il
gesto di una delle “Muse” — ma, ahimè, quanto squalificate —cui hanno ritenuto di
doversi affidare per fare festa, questi brandelli di utopia socialista rivelano
il vero volto dell’ideologia a cui s’ispirano. Un’ideologia la cui unica cosa
da dire, la sola forza rimasta è quella di irridere Cristo e il suo vicario, papa
Francesco.
Preghiamo Dio che questi
rimasugli di un mondo che troppo male ha prodotto nei secoli — forse talora pentendosene
ma di certo senza mai scusarsene — finiscano presto del tutto nella pattumiera
della storia e il mondo del lavoro torni a lasciarsi illuminare dalla luce di
Cristo e dalla dottrina sociale della sua Chiesa, gli unici che possano fare
almeno in certa misura il suo vero bene. E questo anche mantenendo e riproponendo
il suo plurisecolare insegnamento morale
secondo cui il controllo artificiale delle nascite non può che generare quel calo
demografico che è l’autentico dramma dei Paesi occidentali e dell’Italia in
particolare e che è, altresì, la radice prima della crisi economica in cui ci
troviamo immersi.
E preghiamo altresì che vi sia un
questa volta un gesto di riparazione e di riconsacrazione della piazza, magari a
opera del clero della Basilica romana più oltraggiata.