venerdì 30 novembre 2012

IN CHE STATO E' IL CENTRODESTRA




   Il governo di emergenza Napolitano-Monti ha inferto un colpo mortale alla classe politica rappresentativa dell’elettorato conservatore, moderato e cattolico, a quel gruppo dirigente che, non secoli fa ma solo nel 2008, era stato mandato in Parlamento e al governo con margini amplissimi di consenso popolare.

   Non vi è bisogno di esemplificare ad abundantiam come l’ancora attuale maggioranza alla Camera e al Senato si stia disfacendo: basta prendere la recente approvazione con i voti di quasi tutto il centrodestra della legge che equipara i figli naturali frutto di rapporti incestuosi con i figli nati nel matrimonio per averne una idea. E non sarà strano aspettarsi fino all’ultimo minuto altri blitz o colpi di mano di minoranze infime ma agguerrite, come i radicali.

   E dentro e fuori dal Parlamento salta all’occhio l’assenza di una cultura politica, non si pretende monolitica — non è più l’epoca — ma almeno decentemente pattizia, che proponga agl’italiani che fra pochi mesi dovranno andare alle urne qualcosa di credibile, se non proprio di stimolante.

   Il barometro del consenso segna talmente il brutto che persino la classe politica antagonista, semplicemente “vendendo” un minimo di ordine nell’azione politica, nonostante gl’incagli e i nodi non solo operativi che l’attanagliano, è riuscita e riesce a fare un del tutto insperato figurone e a ipotecare sempre più tranquillamente Palazzo Chigi.

   In questa prospettiva, in aggiunta, il volto nuovo rappresentato da Renzi sta affascinando sempre più frange del centrodestra per cui non è impossibile attendersi travasi di voti da destra a sinistra.

   Ma il fattore determinante sarà l’astensione, questa volta come non mai favorevole alle sinistre che almeno qualche segnale di non totale distacco dalla politica e di una relativa compattezza stanno dando.

   L’eventualità quindi di una prossima legislatura in cui — salvi implosioni in itinere come nel 1998 o improbabili mini-golpe presidenziali come quello del 2011 — governi l’ultimo erede del tour d’esprit e dell’apparato comunista, insieme al “ludomarxista” Vendola e — forse unico elemento nuovo — al neoveltronista Renzi, è altissima, vicina al 100%.

   Che cosa ci si possa attendere da un esecutivo del genere, che, si ricordi, avrà dalla sua tutti i poteri forti — colpiva nelle serate intorno alle primarie del Pd l’invasività delle relative cronache su tutte le reti televisive — non è difficile pronosticare. Per sintetizzare direi: “Monti più Vendola”, ovvero il medesimo rigore punitivo sul piano fiscale del governo tecnico con in più — oltre all’occupazione fino all’ultimo spiraglio di tutto ciò che comporta un minimo di potere reale: l’astinenza è durata troppo a lungo per chi non ha altro che la politica nel suo orizzonte — uno scatenamento legislativo sul fronte dei cosiddetti “diritti civili”: divorzio breve — non si dimentichi, correlato in parlamento da quell’autentico genio delle operazioni dietro le quinte che ha nome di Maurizio Paniz, deputato del Pdl —, eutanasia, Dico e matrimonio omosessuale, manipolazione degli embrioni, e così via.

   Il rischio quindi di un quinquennio di lacrime e sangue, non solo per i dirigenti ma per l’intero popolo del centrodestra — che come ha riconosciuto poche settimane fa Ernesto Galli della Loggia è da sempre maggioritario nel Paese —, è quanto mai concreto e imminente.

   È una minaccia cresciuta ma non di certo maturata in questi giorni: già all’indomani dell’uscita di scena di Silvio Berlusconi lo scorso anno si era intuito che finiva un’epoca e che era ora di rifondare la rappresentanza del centrodestra.

   In questo anno da allora che cosa è stato fatto in questa prospettiva? Difficile dirlo: la sensazione — ma è più di una sensazione — è niente, anzi pare che si stia facendo l’impossibile per smantellare ciò che restava.

   Il Pdl — la Lega Nord ha un percorso lievemente diverso ma analogo — sta implodendo, rivelando, da un lato, sul piano della cultura politica il tasso elevatissimo di populismo che caratterizza la sua natura — il liberalismo cede sempre più spesso il passo a una sorta di peronismo delle classi medie — e, dall’altro, lo spessore dell’anima liberale-laicistica e avversa al conservatorismo e ai valori cattolici, fino a rivelare le componenti della sua trama più recondita e “fine”, come l’animalismo “azzurro” di una signora Brambilla. Purtroppo chi teneva la barra del partito imprimendogli una linea sostanzialmente moderata, sostanzialmente ferma sui “principi non negoziabili” dei cattolici e in certi frangenti anche conservatrice, ossia il piccolo gruppo di deputati lato sensu conservatori e la loro capacità d’influire sul Capo, non ha più audience.

   Ma è sul piano dell’azione dove la situazione è peggiore: qui è emersa altresì drammaticamente l’infima “qualità” politica — e non di rado umana — del gruppo dirigente sia nel partito, sia in parlamento. Non si sente più un discorso di contenuti, una parola d’ordine, uno slogan che dipinga che futuro si vuole per il Paese, un appello a un passato non del tutto da rottamare. Solo litigi ed esternazioni così eccentriche, contraddittorie e inopportune — leggi, per esempio, Isabella Bertolini, un tempo fra le migliori leve del partito — da lasciare a bocca aperta.

   Scimmiottamento dell’avversario — primarie, rottamare, largo ai giovani —, tensione fra le varie correnti ideali e i vari gruppi di potere, carrierismo, inadeguatezza a dire alcunché, improvvisazione, servilismi residui, aggressività reciproca: il panorama è desolante.

   Purtroppo a oggi, a pochi mesi dalle elezioni, vi è pochissimo margine per raddrizzare la rotta: non si può creare ex nihilo una cultura politica e una classe dirigente se non si è stati capaci di crearli nell’arco di vent’anni con larga disponibilità di mezzi e di tempo. Al massimo si può puntare ad ammortizzare decentemente il tonfo che — salvo miracoli, pure possibili: lo si è visto nel 1994 — il centrodestra farà.

   E il primo obiettivo per chi ha ancora un briciolo di audience, nei mesi che ancora restano, è quello di spingere l’elettore di centrodestra ad andare alle urne, vincendo la delusione e il disgusto: fargli capire cioè che non votare equivale votare per l’avversario, rendergli la vittoria più sicura e più ingente. Purtroppo, non ci sarà tanto da votare per qualcuno per qualcosa che incarni un ideale o una soluzione ai problemi: mai come questa volta si tratterà di un voto “contro”.

   Quello che si può fare realisticamente è prepararsi, dopo la sconfitta del 2011, a un’altra quasi certa sconfitta elettorale e a un forte ridimensionamento parlamentare, e cercare di minimizzarne l’impatto presentando liste da cui siano almeno depennate le figure più discutibili.

   Ma soprattutto il centrodestra deve preparare il futuro, facendo due cose: creando un governo-ombra e gruppi parlamentari di opposizione che rendano la vita difficile — non impossibile, cosa che per prima cosa non sarebbe attuabile per debolezza di poteri ma che sarebbe soprattutto immorale, come ha dimostrato l’ultimo triennio berlusconiano — al futuro governo delle sinistre; quindi, lavorare per un dopo-Bersani in cui torni a governare, con qualche prospettiva di efficacia e di durata.

   In quest’ultima prospettiva, fra le cose a breve vi è di certo da evitare che il Colle venga occupato da persona troppo “amica” del futuro capo del governo. E, fra quelle a lungo, bisogna rifondare in primis una nitida identità politica, chiarendosi, magari con una Costituente o con degli Stati Generali, su che cosa il popolo di centrodestra ama e desidera e sui modi per rappresentare degnamente ed efficacemente queste istanze all’interno di un insieme di principi e di valori — condivisi anche da più di una entità partitica — che si traduca in una strategia politica e, quindi, in un programma di governo di ampio respiro; poi, preparare con pazienza una nuova e decente classe politica e di governo.

   Per questo non occorre partire da zero, né aprire campagne-acquisti: basta valorizzare il poco di buono che è emerso negli anni dell’egemonia e formare quadri nuovi e con un buon potenziale, auspicabilmente ma non necessariamente giovani, istillando in loro la voglia di far politica a vantaggio della gente e non solo offrendo loro chance di sistemarsi per la vita.

   È una operazione, credo, non da due soldi, anzi immane: però quando il male è diventato grave, gravi diventano anche i mezzi per superarlo.

   Il non farlo, il proseguire nella confusione di obiettivi e di soluzioni e in tatticismi da bassa lavanderia, significa per il “popolo dei valori”, per chi ha a cuore in qualche misura Dio, la patria e la famiglia, rassegnarsi a un lungo periodo d’insignificanza e di malessere.

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