domenica 25 febbraio 2007


Papa, coscienza e storici

Sabato 24 febbraio Papa Benedetto ha tenuto un magnifico discorso ai membri della Pontificia Accademia per la Vita. Magnifico — proprio nel senso di «che fa cose grandi» — per l’altezza del tono e anche perché ha tirato fuori dalla polvere e delineato in maniera magistrale quel luogo «forte» della prospettiva della fede e della morale cristiane che è la coscienza, quel giudizio della ragione sulla moralità — cioè sulla coerenza con quanto si può oggettivamente dedurre dall’antropologia, dalla natura umana — di un atto da compiersi o già compiuto. Giudizio che, come tale, deve essere informato dalla verità delle cose, ma che, come ogni atto di conoscenza umana, è suscettibile di errore. Di coscienza non si è parlato granché dal Sessantotto in poi, anche in ambito cristiano: forse il termine è riaffiorato solo in relazione all’obiezione di coscienza, per esempio verso il servizio di leva o la pratica abortiva.
Proprio nella debolezza della formazione nella maggioranza dei fedeli — per ragioni svariate — di una coscienza allo stesso tempo vera, cioè capace di conoscere, nella misura del possibile, la verità e di lasciarsene illuminare, e retta, cioè ossequiente alla verità conosciuta, sta, secondo il Papa, il problema che affligge oggi la battaglia per la difesa del diritto alla vita. Questa gracilità costituisce il tallone d’Achille di tanti cristiani e uomini di buona volontà, che si trovano così esposti senza adeguate difese alla massiccia pressione, quasi sempre interessata e «orientata», dei mezzi di comunicazione di massa, che vorrebbero liberare la coscienza da ogni vincolo di tradizione e di ragionevolezza. Non è forse un caso che il Papa chiami in questa occasione — a mia memoria, per la prima volta — i media «mezzi di pressione collettiva», quasi voler stigmatizzare la fatale deriva degenerativa odierna.
Da questa diagnosi nasce il richiamo ad adottare tutti i mezzi possibili per riplasmare e irrobustire una sana coscienza cristiana nel popolo cattolico. «Occorre rieducare al desiderio della conoscenza della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta di fronte ai comportamenti di massa e alle lusinghe della propaganda, per nutrire la passione della bellezza morale e della chiarezza della coscienza». Un elemento essenziale di questa operazione rieducativa alla «bellezza morale» — è una bellissima espressione, che scaturisce forse da quell'agostinismo di cui il Papa è impregnato — e al nitore dell’auto-consapevolezza svolgono, secondo Papa Benedetto, «laici educatori» «specialisti». A essi il Papa rivolge un appello particolare dicendo: «Prego […] il Signore perché mandi fra voi, cari fratelli e sorelle, e fra quanti si dedicano alla scienza, alla medicina, al diritto, alla politica, dei testimoni forniti di coscienza vera e retta, per difendere e promuovere lo “splendore della verità” a sostegno del dono e del mistero della vita. Confido nel vostro aiuto, carissimi professionisti, filosofi, teologi, scienziati e medici. In una società talora chiassosa e violenta, con la vostra qualificazione culturale, con l’insegnamento e con l’esempio, potete contribuire a risvegliare in molti cuori la voce eloquente e chiara della coscienza».

Fin qui tutto giusto. Anzi perfetto. Ma poi sorge un bonario quesito: e gli storici? È una dimenticanza la loro mancata citazione nel novero dei «professionisti» formatori di coscienze? Oppure la non menzione è voluta, perché il Papa non ritiene che lo storico possa dare il suo contributo alla difesa della vita?
Ovviamente non voglio credere a quest’ultima ipotesi e mi pare vera invece la prima delle due...
Se si riflette, in effetti lo storico può fare molto per illuminare le coscienze dei credenti in ordine al problema della vita.
Per esempio documentando che tante idee che paiono nate ieri sono in realtà vecchie quanto il mondo, che l’eugenetica e l’eutanasia che oggi risorgono sono state sempre un'arma nelle mani dei poteri totalitari, siano essi il nazionalsocialismo hitleriano o il regime maoista, ma anche «scuole di pensiero» — e ahimé di pratica — forti all’interno delle democrazie occidentali, per esempio quelle scandinave, fra le due guerre… Lo stesso dicasi del malthusianesimo che combatte la vita limitando artificialmente le nascite…
Oppure, per spostarsi su un altro fronte, strettamente connesso con il precedente — lo ricorda il Papa medesimo — mostrando, come fa Marco Invernizzi nell’articolo sui Pacs che pubblica il sito www.identitanazionale.it, come si sia giunti allo scontro attuale. Non si può combattere bene questa battaglia se si crede, come purtroppo si rileva nella maggioranza almeno degli articolisti, che il problema sia nato con i Pacs e con i Dico, cioè se non ieri, l’altroieri. In realtà la lotta per sconvolgere il modello naturale e cristiano di famiglia nell’occidente cristiano e in Italia è partita molto tempo fa, almeno dall’illuminismo — che esalta il libertinismo — per continuare poi con l’individualismo liberale — che attacca la famiglia allargata eredità del Medioevo —, quindi avanzando sotto impulso delle idee materialistiche, darwinistiche e totalitarie del marxismo — soprattutto dell’amico di Marx, Engels —, infine con la ripresa malthusiana — ricordate il Club di Roma e I limiti dello sviluppo? — del secondo Novecento.
Passando dalle idee ai fatti, in Italia hanno contribuito a rendere sempre più esile la struttura della famiglia naturale, recepita dalla Costituzione repubblicana del 1948, l’introduzione del divorzio, il «nuovo diritto di famiglia» del 1975, la legalizzazione e la statalizzazione dell’aborto volontario, la concessione di diritti sempre più ampi alle minoranze omosessuali militanti.

La storia, inoltre, è una disciplina anch’essa, che dà una conoscenza «vera», nei limiti della sua specifica metodica di ricerca — cioè non dà una certezza scientifica, ma quella che giova ad acquisire quella conoscenza detta appunto «morale», cioè sufficiente soggettivamente per agire rettamente —, sul passato. E una buona conoscenza del passato, una buona anamnesi — come ben sa chi ha letto qualche testo di morale cattolica — è altresì parte integrante di quella virtù della prudenza che si dice sia il cardine di tutte le altre virtù naturali e morali, cioè umane tout court.

Avere presente questa dimensione storica più o meno profonda, fornire strumenti per un’azione prudente — che non vuole dire né rinunciataria e nemmeno cauta, ma solo storicamente e razionalmente fondata —, contribuire al ricupero di quella «tradizione» che «il potere dei più forti» vorrebbe oggi far smarrire, non può dunque non complementare ed esaltare gli altri benefici influssi esercitati dal teologo, dal giurista, dal bioetico, dal medico, sulla costruzione di una coscienza ben formata nel fedele.

E allora, dunque? Ho voluto forse «tirare le orecchie» al Papa? No, non è certo questo lo scopo di questo breve scritto: credo che quanto ho detto sia ben presente alla mente del Pontefice anche se in questo frangente non ha potuto trovare espressione. Questa omissione non mi esime dal rispondere con calore all’appello del Papa e a «mettere sul tavolo» anche ciò che la risorsa della riflessione sul passato, la memoria, la conoscenza storica offre alla causa comune.

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