Berlinguer (primo a destra) con alcuni dirigenti del PCI degli anni 1970) |
Bene: finalmente anche Milano, come tante città d'Italia — confesso che ignoravo non ne avesse una... —, avrà la sua "Via Enrico Berlinguer, 1922-1984, politico".
Ovvio: a "[...] un grande politico, ma anche un uomo di grande moralità che ha segnato un periodo storico importante. Un grande italiano" — così lo ha definito l'assessora all'Urbanistica del Comune Ada Lucia De Cesaris — scomparso non è dignitoso far mancare una pubblica commemorazione intitolandogli una strada.
Ma è realmente come pensa e dice l'assessora? Chi è stato in realtà Berlinguer?
Segretario politico del Partito Comunista Italiano, ha diretto con efficacia, dal 1972 al 1984, la filiale italiana dell'internazionale rossa. Come dirigente locale riconosciuto e di alto rango del movimento giovanile e poi del Partito ha portato avanti la linea del movimento marxista-leninista mondiale — al di là della "diversità" esteriore del comunismo italiano — nel contesto di uno dei Paesi più delicati e complessi dell'Occidente, Paese di frontiera con l'area socialista e sede allo stesso tempo del vertice mondiale della religione più diffusa del pianeta, il cattolicesimo — na sorta quindi di "tana del nemico".
Come tale è stato costantemente schierato dalla parte dei nemici dell'Occidente e dell'Italia in tutti i frangenti (dalla guerra del Vietnam ai missili Nato) in cui gli interessi di questi fossero in gioco nel mondo bipolare, diffamando e boicottando tutte le forme di resistenza alla comunistizzazione del globo, lottando contro tutti i regimi che ancora vi si opponevano, lanciando campagne pacifiste sempre a senso unico.
Mai una sola lacrima, una sola critica davanti agli orrori che il comunismo veniva accumulando in tutto mondo dove regnava e dove voleva instaurarsi: non per gli studenti e operai di Budapest nel 1956, non per i monaci tibetani nel 1957, non per Praga nel 1968, non per la Polonia "normalizzata", non per i martiri anticastristi cubani, non per i GuLag, non per i Laogai: il torto, i martiri erano sempre a Occidente... e gli assassini sempre gli stessi: i "fascisti", i reazionari, i generali.
A lui si deve il tentativo più sviluppato e articolato — in termini di mezzi messi in campo e di sottigliezza ideologico-politica — per instaurare nel nostro Paese un governo comunista — forse "all'italiana" ma non meno socialista e, quindi, non certo "a misura d'uomo e secondo il piano di Dio"—, collaborando con i cattolici democratici della DC e con i socialisti.
A lui si devono sconfitte demoralizzanti e devastanti per la fibra morale del Paese e per i cattolici come quella in occasione del referendum sul divorzio e quella nel successivo referendum sull'aborto, successi — per le sinistre — avvenuti grazie al decisivo contributo della macchina politica e organizzativa di un partito che vantava allora circa ottantamila funzionari sparsi sul territorio, il larga misura mantenuti con l'"oro di Mosca" e con le tangenti sull'import-export verso i Paesi dell'area del socialismo reale.
A lui si deve il tentativo di mantenere nelle fabbriche (leggi nella Fiat) il clima d'impunità e di terrore che vi si era radicato negli anni della rivolta operaia iniziata nel 1969 e nel quale, come in brodo di coltura, erano germinate le Brigate Rosse: quel clima che fu rotto, letteralmente, dalla "marcia dei Quarantamila" quadri e operai avvenuta a Torino nel 1980. E sarà promotore della presa di posizione comunista contro il terrorismo ultras solo quando a cadere sotto il piombo deelle mitragliette dei brigatisti sarà il sindacalista comunista Guido Rossa: prima, tutto quello che faceva rivoluzione andava bene e andava "gestito" anche se nato fuori della "casa-madre".
Berlinguer è il principale ispiratore della cosiddetta "politica di austerità" che, nel corso degli anni Settanta del XX secolo, impose all'Italia — rompendo per la prima volta l'euforia e l'ottimismo seguiti al dramma della guerra persa — un look triste e sinistro: divieto di libera circolazione dei capitali; aumento dei prezzi dei carburanti, blocchi della circolazione e targhe alterne — per ragioni non ecologiche —; anticipo del telegiornale per invitare ad anare a letto più presto; città più buie.
Al di là delle intenzioni personali, egli in sostanza non fece mai nulla che accrescesse realmente il bene comune della nazione di cui era parte e parte eminente: lo sforzo stesso di migliorare le condizioni del "proletariato", di combattere alla fine degli anni Settanta il terrorismo ultracomunista e di "strappare" con Mosca sono da vedere sempre inscindibilmente legate al suo ruolo e alla sua membership di alto livello del movimento rivoluzionario di obbedienza moscovita in tutte le evoluzioni strategiche e in tutte le metamorfosi subite da quest'ultimo.
Credo che i motivi di riflessione (e anche d'indignazione, anche se in questi giorni vi sono forse motivi più forti) su un piccolo gesto — che però conferma un quadro — siano almeno due.
Da un lato non credo basti essere un politico, ancorché "grande" (Hitler non è stato anch'egli, nella sua perversione, un grande uomo politico?), per meritare una strada, e che occorra invece essere oggettivi e indiscutibili operatori di bene comune per meritare il ricordo di tutti i cittadini, come avviene attraverso la toponomastica.
L'altro è che davvero il passato in questo Paese non vuol proprio passare. E che non vi è cenno (anzi, questo piccolo evento suona proprio come campanello d'allarme) di quella volontà di depurarsi delle scorie del Novecento, non solo materiali — in primo luogo liberandosi del socialismo di Stato che soffoca la ripresa italiana, ma anche mettendo mano alla memoria collettiva espressa dai nomi delle vie; sarebbe un segnale importante: quante vie "Lenin", quante vie "Togliatti", quante vie "Berlinguer" vi sono ancora in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio? —, ma soprattutto culturali che impediscono di affrontare, con tutta l'efficacia che richiedono e che il Paese è n grado di mettere in atto, le nuove sfide, sempre più incalzanti, cui ci troviamo di fronte hic et nunc, a inizio del Terzo millennio cristiano.
Ritenere che Berlinguer sia stato un benefattore pubblico equivale in un certo senso a ritenere che le idee per cui si è speso e le politiche da lui perseguite e attuate siano valide e benefiche e non semplicemente un contributo, ancorché indiretto, a quella "vergogna" del secolo passato che è stato (e per milioni di asiatici tuttora resta) l'"impero del male", in tutte le sue svariate forme e declinazioni.
Una vergogna, per i cui terrificanti crimini, per inciso, nessuno ha finora pagato: anzi, i suoi massimi corresponsabili sono ancora in via di "canonizzazione" da parte delle amministrazioni pubbliche progressiste odierne di un Paese che ne è stato anch'esso teatro e vittima.