mercoledì 10 novembre 2010

La falsa alternativa

L’agenda politica dell’on. Gianfranco Fini si fa di giorno in giorno più chiara. Ed è senz’altro un fatto positivo perché consente di prendere meglio le decisioni che al centrodestra s’impongono.

    Nella prima convention di Futuro e Libertà, tenutasi a Perugia domenica 7 novembre, è stato reso noto il manifesto programmatico della nuova forza politica promossa da Fini. Nella medesima occasione il medesimo ha tenuto un discorso programmatico, che avrebbe dovuto completare quello di qualche settimana fa a Mirabello in provincia di Ferrara.
    Da quanto avvenuto a Perugia è ora palese che: 1) è nato un nuovo partito; 2) si vuole aprire, anzi s’invita il presidente del Consiglio a farlo, una crisi di governo, davanti alla quale FLI è disposta a ritirare i suoi ministri dal governo; 3) si vuole sostituire Berlusconi e il PDL come leader e contenitore politico delle istanze di destra e moderate.
    Operativamente — mi sia consentito partire dal “fare” e vedere il “che cosa” come secondo punto — vi sono alcuni rilievi da fare in sede valutativa del modus agendi dell’ex delfino di Giorgio Almirante.
   In primis la insistita “doppiezza” del personaggio, che ha dato corpo al suo disegno di uscire in maniera organizzata dal PDL già da mesi, quanto meno dallo “strappo” dell’aprile 2010, rivelandolo però a piccole dosi e a strappi, lasciando intendere e smentendo, facendo dichiarazioni unitarie e colpendo alle spalle, a seconda dei casi: per definire questa tattica neiconfronti del premier i cronisti hanno un termine a mio avviso un po’ brutale ma efficace: “rosolamento”.
    Una tattica ai limiti della slealtà e degna di miglior causa e di avversario autentico più che di compagno di strada, cui, fra l’altro, si devono in toto le proprie fortune politiche, personali e non. Pare poi quanto meno singolare — lo hanno rilevato in diversi — l’appello a Silvio Berlusconi affinché sia lui ad aprire la crisi senza neppur attendere un voto contrario in parlamento: è davvero sconcertante che il presidente della Camera bassa sia il latore di un messaggio del genere. Forse il dovere di andarsene da una posizione istituzionale così alta mentre si scende in campo e si fa politica aggressiva e lesiva incomberebbe a Fini, non al presidente del Consiglio…
    Infine, la pretesa di considerare chiusa una esperienza e l’autocandidatura alla leadership del mondo di destra e “moderato”: non pare certo un obiettivo illecito, ma non lo si persegue a danno dell’obiettivo concreto di governare, pur nei limiti in cui questo oggi è possibile, il Paese. Si aspetta la conclusione della legislatura e ci si candida a guidare, se se ne hanno i numeri, lo schieramento elettorale, non fa abortire una esperienza in atto, con davanti tre anni di vita relativamente garantita dall’assenza di consultazioni elettorali di rilievo. Oltre che scorretto, è stupido e lesivo degl’interessi dei propri elettori e, in ultima analisi, anche di se stessi.
    Quest’ultimo punto “apre” verso una sommaria analisi dei contenuti riemersi — è il caso di dirlo, in quanto nihil sub sole novi — a Perugia. Con quale faccia Fini chiede agl’italiani di destra e “moderati” — ma dove sono alla fine questi moderati? a me sembra d’incontrare sempre più spesso, a destra come a sinistra, delle persone che, quando non sono sfiduciate e inerti, sono assai arrabbiate con la politica — di gettare alle ortiche l’unica “macchina da guerra” che abbia "spezzato le reni" alla sinistra? Non si accorge che in maniera sospetta “incontra” a sinistra, dagl’intellettuali firmaioli ai Tg di governo? Perché è diventato il beniamino di Bersani e l’idolo di una sinistra “sull’orlo della crisi”, lui, il fascista, il portaborse del “fucilatore” Almirante? Ci fosse un programma, un’alternativa politica seria sui problemi concreti, forse avrebbe un senso parlarne. Ma davanti alla carrellata di piatti freddi e indigesti che Fini vorrebbe far trangugiare agl’italiani di destra come alta cucina davvero cadono le braccia.
    Fini solleva problemi — non tutti, per verità: per esempio la sua cecità sullo squilibrio dei poteri, leggi magistratura ideologizzata a sinistra, è eloquente — talvolta reali.
    Ricordo che persino nel discorso dell’aprile 2010 — quello che segue il famoso “che fai? mi cacci?” — vi erano spunti condivisibili, tentativi di spostare il discorso verso l’immigrazione e le altre sfide che attendono il Paese. Un apprezzabile tentativo di volare alto che ora però “picchia” e si schianta e si appiattisce nel modo più becero pensabile sulle posizioni dell’avversario. Le tesi che dovrebbero ispirare infatti la nuova destra moderata ed europea assomigliano a turgori di nulla, a "sfiati" tanto pestiferi quanto materialmente inconsistenti. All’unica asserzione condivisibile cioè che l’Italia, “la gens italiana esiste da almeno duemila anni” segue purtroppo una caterva di propositi sbagliati oppure la cui attuazione hic et nunc, con questa situazione di potere reale — ovvero che tenga conto di tutti i numerosi poteri che albergano al cuore di quella mostruosità che è lo Stato moderno del terzo millennio — non certo favorevole al centrodestra, non sul pianeta Papalla, non viene neppure indirizzata.
    Una nozione di legalità rimandata a una riforma dell’individuo che richiederebbe decenni, se non secoli, e strumenti coattivi di una gravità neppure immaginabile, cui si accompagna una sprezzante valutazione del cosiddetto pacchetto sicurezza che pure ha dato i suoi buoni frutti e ottimi ne darebbe se non se ostacolasse per mille vie l’attuazione concreta; una nozione di persona del tutto astratta dalla sua essenza e dalla normatività che ne deriva — con l’attacco anche qui ingeneroso che riduce a propaganda xenofoba tutto il bene che è stato fatto nei confronti degli ospiti e che cozza frontalmente contro quell’appello al rilancio dell’identità nazionale che caratterizza il discorso finiano; una visione del lavoro come fattore di civiltà che puzza alla lontana di neomussolinismo; un richiamo del ruolo centrale della famiglia — “cellula primaria della società” — che si schianta contro la promozione dei diritti degli omosessuali e l’equiparazione della famiglia di fatto a quella matrimoniale — è uno standard europeo, perbacco! anche se non è del tutto vero… —, nonché contro il richiamo specioso al Santo Padre, di cui si ricordano, per associarle a una sua intemerata sull’“afasia morale” del centrodestra e sulla moralità individuale — della quale non pare, francamente, uno dei migliori campioni neppure il presidente Fini — solo le parole sulla spazzatura morale e non quelle contro il divorzio, l’aborto e le unioni omosessuali, temi tutti per Fini su cui una “destra moderna” evidentemente non deve dare battaglia.
    E via a ruota libera, fra sparate intinte in un gerghetto neoidealista alla Almirante — se non peggio — e traboccanti di ovvietà, ergo vacuità, varie — quante volte ricorre l’aggettivo “nuovo”? sembra di rileggere la prosa della defunta Rinascita… — del tipo: “riscatto sociale”, “economia al servizio del popolo” (ma ce lo vedete Fini che lotta contro i poteri “forti”?); “sintesi fra capitale e lavoro”; “uno spirito diverso”; non siamo contro il PDL né contro Berlusconi: siamo “oltre”: occorre un nuovo “patto sociale” — ma ha visto la faccia della nuova segretaria della CGIL?; una nuova “agenda politica” — ma sa di usare un inglesismo?; un “nuovo programma di governo”; una “nuova fase”
    Pare, come ho già rilevato, che il soldato Fini vada alla guerra armato di mazzi di fiori, oppure s’identifichi con il naturalista che va in giro armato di reticella acchiappafarfalle e di lente d’ingrandimento per osservare i vari fenomeni di un mondo pacifico e operoso e dove basta chiedere e la realtà si conforma immediatamente all’ideale. Gli sfugge — ma poi non è vero, e in questo sta la malizia delle critiche finiane — che è in corso una battaglia — mi viene spontaneo, per caricare i toni, di aggiungere a “battaglia” “nella notte”, come ha fatto Bendetto XVI per far capire che cosa è successo dopo l’ultimo Concilio vaticano — dove i buoni hanno conquistato a fatica una posizione strategica che i cattivi — più numerosi e potenti di loro — assediano da ogni lato colpendola con tutte le armi a loro disposizione, leali e sleali. Un dato essenziale, che impone prudenza nei giudizi, soprattutto sulle persone. Se guida i buoni un capitano di ventura dal passato e dal presente discutibile, ma valido uomo di guerra, chiedere che se ne vada a casa, come fa Fini, equivale a voler la morte della città che i buoni difendono: e questo non glielo si può perdonare… Fini si presenta come il classico amico dell’ottimo che si traduce in nemico del bene. Contrappone alle piccole cose, ai piccoli successi reali e concreti che la squadra del governo e il suo leader stanno giorno dopo giorno, con fatica realizzando — dalla lotta alla criminalità mafiosa e comune alla giusta regolamentazione dell’immigrazione —, imprese magari altrettanto buone, ma colossali e attuabili solo in anni e anni, con poteri ben più forti di quelli di un, lo si ricordi, semplice “presidente” di un consiglio di ministri che riporta al Parlamento. Qualche esempio? Operare “la sburocratizzazione della pubblica amministrazione”, garantendo “legalità e trasparenza” “rilancio delle istituzioni” — ma che cosa diamine vuol dire?; “Oggi, nell’epoca di Internet…” — se non lo ricordava lui, non ce ne saremmo accorti.
    Spiacciono soprattutto nel discorso perugino di Fini i ripetuti sarcasmi gratuiti, ingiusti e ingenerosi contro il premier, il PDL e la Lega Nord — mossa solo dall’“egoismo strisciante territoriale” —, del tipo: niente “pensiero unico”, né “insipidi e deboli minestroni”; non siamo un partito per “lucrare interessi”; non condividiamo l’immagine da “paese dei balocchi” che Berlusconi propala, né ci pieghiamo al “credere, obbedire e combattere” di mussoliniana memoria che Berlusconi impone — ma si rende conto di quale suono hanno queste parole nella bocca di chi ha definito solo qualche anno fa Mussolini come “il più grande statista italiano”? —; “il compitino dei 5 punti con scolaretti che devono votare altrimenti è lesa maestà” — ma si rende conto che così offende, no solo i suoi ex “colonnelli”, ma anche coloro che Fini stesso a Fiuggi ha incitato a entrare in Alleanza Nazionale, partito nuovo, e non erano mai stati missini?; “tanto pensa a tutto lui”.
    Ma, soprattutto, torno a dirlo, assorda, il suo silenzio su temi-chiave della nostra condizione di uomini e di cittadini del terzo millennio. Che cosa dice Fini riguardo a vita innocente, fine-vita, embrione, giovani da rifondare e non solo da stipendiare? Nulla. E questo nulla significa che non sono per lui problemi oppure dà per scontata che la risposta giusta a essi è quella che dà lo schieramento opposto a quello dal quale sta uscendo?
    Mi pare di cogliere, per inciso e forse anche con un po’ di malizia, in quel suo rimpianto dichiarato per le figure politiche della prima Repubblica un lapsus freudiano assai divertente e significativo. Chi era Aldo Moro se non il genio della sinistra cattolica? E chi era Berlinguer se non il “Principe” della sinistra comunista? E chi Almirante, se non il capo della sinistra nazionale? Infine, chi La Malfa se non l’esponente più tipico della sinistra del liberalismo? Non è strano che Fini rimpianga quattro austeri — ma Almirante era divorziato — “sinistri” di prestigio degli anni 1970? E con questo vorrebbe capeggiare lui la destra moderata italiana? Ma così conferma solo involontariamente la sua vocazione e ideologia di sinistra “nazionale” di cui FLI è rinnovata, intempestiva e anacronistica espressione.
    Se Fini vuole davvero rappresentare […] quell’Italia profonda, silenziosa che cerca di migliorare con il lavoro la condizione di vita nella nostra società. Quell’Italia silenziosa che non urla, non ha la bava alla bocca, non sta sulle gradinate e quindi non è fatta di ultrà. Quell’Italia che rappresenta la stragrande maggioranza del nostro popolo”, allora farà bene a cambiare direzione. Capendo cioè che il trend, oltreoceano come da noi, non è verso una riedizione in chiave nazionale dei luoghi comuni della sinistra di sempre, ma nel contrario. Nella ricerca di spazio per la sfera individuale sottraendola all’invasività dello Stato, chiedendo istituzioni “leggere” e funzionanti; nell’esigenza di ridare ossigeno alle autonomie locali e ai corpi sociali intermedi; nel riconsiderare il dato religioso quanto meno come risorsa sociale e non, giacobinisticamente, come problema; nell’affrontare con equità ma con spregiudicato realismo e senso civico i fenomeni sociali ed economici che scatenano conseguenze sull’oggi e sul futuro, cioè sui nostri figli e nipoti.
    La gente è davvero stufa: è stufa delle intemperanze private del premier perché sono cose brutte — benché esista di peggio —: questo è il messaggio totalizzante che arriva dai media di ogni risma, specialmente da quelli pagati dal contribuente; ma è stufo ancor prima di inettitudine politica 360 gradi; di pagare tasse per avere servizi da terzo mondo; è stufo della irresponsabilità dei pubblici amministratori e di figure importanti del potere come i giudici e i pubblici ministeri; e soprattutto è stufo fradicio di ideologie. Per inciso: ma non erano morte, le ideologie? A giudicare dalla prontezza con cui Fini è diventato il portabandiera di certi movimenti e certi personaggi sembrerebbe di no. Il cambiare il senso delle cose per invertire i giudizi di valore pur di nuocere all’avversario o di difendersi non era una prerogativa della vecchia dialettica, essenza del marxismo-leninismo? E oggi? Non è successo lo stesso? Allora vuol dire che qualcosa di quella ideologia apparentemente defunta qualcosa sopravvive…
    Lo stesso deprecato — da lui — successo di una realtà culturalmente eterogenea e poco raffinata come la Lega, non si accorge che è null’altro che un indicatore di questo trend? Da noi non ci sono — almeno per ora — i Tea Party e l’insofferenza “di destra” si sfoga educatamente nel voto al centrodestra: ma come può pensare d’intercettare questo voto in marcia verso la destra più radicale andando a sinistra? Magari andando verso quel Casini che vive dei voti del clero e di qualche residuo di democratismo cristiano “moderato” cui non piace lo stile berlusconiano? Oppure c'è Rutelli: ma qui non vado oltre…
    Quello che invece Fini sta facendo è travestire pericolosissimamente esigenze e ripicche personali con lemmi e slogan vetero-ideologici privi di consistenza — è questa l’impressione generale e generica che la lettura del discorso finiano di domenica 7 novembre lascia —, in vista di un’avventura competitiva dall’esito — ahimè per lui — chiaramente predeterminato. È possibile che gl’italiani del “miracolo” del 1994 rischino di pagare il conto al posto suo, cioè di finire sotto le grinfie di un governo “tecnico” che massacrerebbe ancor di più la classe media oppure di cadere sotto un regime neoprodista, sconclusionato e demagogico come quello sperimentato nella passata legislatura? Allora meglio rischiare una imprevista e poco fisiologica — ma autentica ordalia incruenta — tornata elettorale di mid-term

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