PER FAVORE NON CONFONDIAMO
Sul
Corriere della Sera di oggi Angelo
Panebianco lamenta l’eccessiva fragilità che affligge la cultura politica dell’attuale
destra italiana. E continua sottolineando come essa non si faccia paladina di
una maggior difesa dell’istituto della proprietà privata, già gravata di troppi
limiti nella carta costituzionale ed esposta, quindi, all’arbitrio delle
maggioranze parlamentari e dei governi.
E fin qui ci siamo. Una destra troppo “sociale” sarebbe una vera destra? Direi di no…
E fin qui ci siamo. Una destra troppo “sociale” sarebbe una vera destra? Direi di no…
Ma,
ahimè, l’argomentazione del noto — e non di rado eccellente — politologo è
viziata da un equivoco di fondo: tutte le carenze che imputa alla destra sono
carenze di liberalismo. Per lui la destra si riduce tout court alla destra liberale. La quale si distingue certamente dalla
sinistra per molti aspetti, uno dei quali è proprio quello dell’uso sociale
della proprietà, spesso, per via legislativa o fiscale, ampliato a dismisura.
Ma si distingue e si contrappone anche al conservatorismo che della destra è l’espressione
più genuina. Non che la destra liberale e la destra autentica non abbiano punti
in comune. Molte delle libertà rivendicate dal liberalismo “non liberal”, non radicale, non “alla
Scalfari”, per intenderci, fanno parte anche del patrimonio — o, come si dice
oggi, del Dna — del conservatorismo, tuttavia (a) non sono tutte le stesse e
(b) non sempre sono intese nello stesso modo nelle due ottiche.
La
lotta contro lo Stato-Moloch e la difesa dell’autonomia del privato è certo una
battaglia squisitamente conservatrice, però il conservatore non rivendica solo
la libertà individuale, ma libertà dell’individuo “complesso”, visto
inscindibilmente inserito in corpi di cui naturalmente fa parte, e libertà dei
corpi medesimi. In primis della
famiglia, nei confronti della quale il liberale non si rende conto di quanto le
libertà individuali, se fraintese e dilatate oltre misura — per esempio, l’apertura
indiscriminata dei punti-vendita, il gioco d’azzardo, la prostituzione non disciplinata,
il divorzio, l’aborto, ecc. — o anche solo equiparate a quelle lecite e irrinunciabili
— autodifesa, fiscalità giusta, diritto-dovere di procreare, libertà d’impresa
e di religione — possono agire come dei terribili solventi e veleni.
Vorrei
— ho l’ardire di — dire a Panebianco: la destra, se è vera destra e non un
pateracchio ideologico, è tutto fuor che liberale. Se vi sono punti di contatto
fra destra e liberalismo e storicamente è esistito ed esiste una destra
liberale; ancora: se è meglio la destra del liberalismo alla sinistra liberale
o al socialismo, non è per questo lecito confondere due realtà dissimili e in
certa misura antitetiche.
Noi
conservatori italiani e, ipso facto, conservatori
cattolici, per inciso, non possiamo dimenticare quanto il nostro liberalismo ottocentesco,
figlio indiretto della ghigliottina del 1793 e schiavo diretto della visione panstatalistica
hegeliana, ha distrutto del capitale di virtù sociali accumulate nella nostra Penisola
in secoli e secoli di ordine civile illuminato dal diritto naturale e animato
dal cristianesimo.
Non
dico che bisogna fare la guerra al liberalismo indiscriminatamente —
eventualmente solo a quella sua deriva “giacobina” e borghese che si riflette sulle
colonne de la Repubblica —, anzi si
deve cercare la massima collaborazione con quelle frange liberali più “illuminate”,
cioè più “aggredite dalla realtà” — che hanno capito cioè con l’acqua sporca
del bagnetto si sta gettando via o spesso si è stati in procinto di gettare via
anche il proverbiale bambino —, più sensibili al richiamo dei princìpi naturali
e non ostili pregiudizialmente alla presenza del dato religioso nella sfera
pubblica.
Ma,
per favore, smettiamo di confondere le cose: non lo dico specificamente a Panebianco, ma a tutti i numerosi personaggi che, con maggior o minor grazia o lucidità, millantano la medesima falsa equazione destra-liberalismo. Destra è conservazione, in tutta
la dinamica possibile — e misconosciuta — del termine. Destra è lotta contro lo
Stato onnipotente e per la proprietà privata e per i diritti naturali, ma è
anche difesa delle comunità naturali non solo dallo Stato ma anche dagli
egoismi privati, peggio se corporati e potenti.
Il primo dei postulati che distingue la destra da altro è proprio il primato della verità sulla libertà e il rispetto, specialmente in tempi in cui il “cosmo semantico” — per usare una felice espressione del precedente pontefice Benedetto XVI — è altamente corrotto e confuso sistematico della verità del linguaggio.