domenica 21 aprile 2013



Napolitano-bis
sconfitta o vittoria del PD?



Comunque si sia dipanata la vicenda, al PD è riuscito il grande slam, cioè ha preso tutto: ha il capo dello Stato, ha i presidenti delle due camere (autorità n. 2 e 3 della Repubblica), avrà il capo del governo, che sia di larghe intese o meno, e, quindi, la totalità o la maggioranza dei ministeri. E tutto questo con un misero 29% dei votanti che, considerando l'intero corpo elettorale, equivale a un elettore su quattro. Oggi, 21 aprile, il Corriere titola “Berlusconi gongola”. Ma vi è motivo per gongolare? Certo: poteva andare peggio. Tuttavia è drammaticamente frustrante per i conservatori: 1) che si gongoli quando si è perso e le conseguenze della sconfitta, non solo di una élite politica ma di una porzione significativa del popolo italiano, sono gravi e si assaporeranno in tempi lungh; 2) non essere stati capaci nemmeno di esprimere, quanto meno in prima battuta, un “candidato di bandiera”, avendo fin dalla partenza come unico candidato, ergo come unico progetto di guida della Repubblica, l’inciucio con l’avversario. 
A Berlusconi il fallimentare (in casa propria) Bersani è riuscito, miracolosamente ma non di meno fattualmente, a non lasciare nemmeno le briciole.
Da oggi (per inciso il dies natalis di Roma) in poi l’Italia sarà tenuta saldamente in pugno dalla vecchia diarchia Napolitano-Monti, forse nell’attesa che a quest’ultimo subentri un personaggio come Amato, di cui gl’italiani ricordano ancora il borseggio sui conti correnti, oppure uno dei peggiori nemici del conservatorismo, il velenoso e rancoroso genietto del male Enrico Letta, un giovane-vecchio (giovane di età, vecchio di idee) della peggiore specie, e che avvenga l’avvicendamento al Colle del vecchio presidente postcomunista con il nuovo eurocrate Monti, da rincuorare dopo le legnate prese da capo-partito e forse ancor maggiormente gradito del primo allUnione Europea. Avremo quindi o una Italia Napolitano-Monti o una Italia Monti-Amato/Letta. 
Il che lascia intuire quale futuro di lacrime e sangue ci aspetti, e pronosticare una ulteriore accelerata nel declino del Paese, forse fino al di là della soglia da cui non ci si potrà riprendere nemmeno con una dittatura militare.
A questo punto che Bersani vada in pensione, che SEL lasci il PD, che il PD si spacchi diventano fenomeni, tutto sommato, di sfondo: di certo la classe dirigente del centrodestra — anche se in certi momenti dei giorni scorsi, di fronte alla bagarre “intrademocratica”, il partito è sembrato una corazzata blindata, una specie di  PCI dei tempi d’oro — non saprà approfittare anche perché di elezioni, salvo sorprese, si riparlerà nel 2018 della crisi intestina dell’avversario, troppo inconcludente, impreparata e “Arcorecentrica” com’è. 
L’unica chance che a mio avviso ha oggi l’area berlusconiana non è accettare un eventuale governo di larghe intese dove, qualora si faccia, i rappresentanti del centrodestra avranno un ruolo non superiore a quello del personale di pulizia di Montecitorio, ma boicottare con la guerriglia diplomatico-parlamentare l’imminente vicenda dell’incarico ad Amato o a Letta e puntare con tutte le forze disponibili su una nuova tornata elettorale, da giocare, sperando che dopo l’ennesima débacle almeno un barlume di buon senso torni a brillare, con determinazione, con volti vecchi (magari in ruoli nuovi) ma anche volti nuovi e progetti chiari e seducenti per quella minoranza di elettori di centrodestra che non va a votare o per i centristi ingenui sconfortati dopo l’esito della manovra Casini-Monti. Magari senza dimenticare i principi non negoziabili...

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