MA IL MURO DI BERLINO
E' DAVVERO CROLLATO?
Novembre
2014: si commemora il quarto di secolo dalla “caduta”, dal “crollo”,
dall’“abbattimento” del Muro di Berlino. Ma si è trattato davvero di una
caduta, di un crollo, di un abbattimento?
A
mio modesto avviso, no. Il Muro non è caduto – chi lo avrebbe fatto cadere? –, non è
crollato – quale sisma ne avrebbe minato le fondamenta? – e nemmeno è stato
abbattuto – dov’è stato il vento inarrestabile che lo avrebbe travolto? –: il
Muro è semplicemente stato rimosso, tolto di mezzo, smantellato da chi lo aveva
eretto.
Già
lo segnalava con fine acume, a poco più di un mese dai fatti, il giornalista ed
ex iscritto al Partito Comunista Saverio
Vertone (1927-2011), che scriveva su il Corriere
della Sera: «[…] considerata nei suoi effetti visibili, la
spallata che sta cancellando regimi, partiti, costituzioni, sistemi economici e
persino interi Stati nell’Europa centro-orientale, sembra un miracolo della
volontà popolare. E il Muro di Berlino che cade scoperchiando prigioni e latrine
di Stato può ricordare a qualcuno le Mura di Gerico che si afflosciano come
cartapesta sotto l’urto sonoro delle trombe di Giosuè. Non è così. La spallata
dei popoli è stata data quando i guardiani avevano aperto le gabbie. Lo
schianto improvviso dell’impero comunista finisce nella consapevolezza e nello
spirito, ma è cominciato nella materia e nell’economia, ed è passato al vaglio
razionale della Realpolitik. […] L’erede di Lenin [Gorbaciov] non ha scelto la libertà, ma la
sopravvivenza […] [e] cerca adesso di
convincere il mondo capitalista a partecipare in extremis al salvataggio di un
sistema che per settant’anni si è presentato come un’antitesi mortale al
capitalismo».
Perché
il Muro fu rimosso? Perché la frontiera fra impero comunista e mondo libero era
stata semplicemente spostata e la Germania Democratica non aveva più senso. Gli
Stati europei comunistizzati nel secondo dopoguerra, nel disegno sovietico –
così come lo leggeva Giovanni Cantoni nel gennaio del 1990 –, dovevano essere affrancati
dal controllo diretto di Mosca per andare a formare una cintura di Stati
semi-socialisti, ma ad auspicata alta prosperità economica, che sorreggesse
l’agonizzante socialismo reale della casa-madre, l’URSS.
Non
solo: ma l’intero movimento comunista di casa-madre moscovita, già dagli anni
della breve segreteria di Jurij Vladimirovič
Andropov (1914-1984), capo del KGB, aveva iniziato una profonda ristrutturazione,
ovvero attuato una radicale metamorfosi, pienamente coerente con la sua dottrina
relativistica e dialettica, e in perfetta armonia con la “natura” – le virgolette
sono di obbligo, perché la modernità rivoluzionaria nega la nozione di “natura”,
la quale rimanda a quella di creazione e a quella di ordine – proteiforme del
processo rivoluzionario, dismettendo il colbacco rosso-stellato dell’epoca
della modernità “dura”, simboleggiata dalla CEKA e dall’industria pesante, a
una versione post-moderna, duttile e iperrelativistica.
Certo,
non si trattava solo di riacclimatare il vecchio progetto di lotta per la
società senza classi in un mondo cambiato. Spinte oggettive a mutare lo status quo e ad accelerare il piano di
dismissione della forma statuale della Rivoluzione comunista vi erano, e come! In
genere a riguardo si cita il magistero e il carisma dell’ex suddito della repubblica socialista di Polonia papa Giovanni
Paolo II (1978-2005), così come si sottolinea la sfida all’impero “del male” lanciata
dall’indimenticabile 40° presidente degli Stati Uniti Ronald Wilson Reagan
(1911-2004): tutto vero. E, ancora, come causa delle cause s’invoca il
fallimento economico del socialismo sovietico e le spese insostenibili per mantenere
in sella regimi del tutto artificiali, come la RDT – ma anche come Cuba, come
il Nicaragua, come i regimi socialisti insediatisi nei Paesi ex coloniali –, mantenendo efficiente l’odioso
Muro, che circondava l’ex capitale germanica
– anche i sassi avevano capito che nessuno dall’Ovest era mai fuggito all’Est…
– e che costituiva il classico pugno in un occhio per la politica di glasnost e di perestrojka intrapresa dall’ottavo segretario del PCUS, Michail
Sergeevič Gorbaciov. Anche questo, verissimo...
Ma,
a mio avviso, tutte queste spinte – tranne forse l’ultima, la più tangibile e
potente – non bastano a spiegare la decisione unilaterale di demolire la
barriera di cemento e di filo spinato che divideva Berlino e di non reagire quando
un anno più tardi la Germania tornava una. La dissidenza, anche se sempre più
forte e alimentata dal Papa polacco, non aveva chance di fronte ad apparati repressivi capillari, che contavano un
numero sterminato di membri – il massimo era proprio la Repubblica Democratica Tedesca,
dove la STASI, il servizio di sicurezza, reclutava, come funzionari o come spie
più o meno occasionali, milioni di tedeschi –: lo si era visto nella repressione
in Polonia attuata dal generale Wojciech Jaruzelski (1923-2014) pochi anni
prima. Reagan stesso era un nemico di certo ben più pericoloso di un Jimmy
Carter, ma era chiaro che gli USA non avrebbero mai, né con il presidente “cow boy”, né prima di lui, rimesso in
discussione i patti di Jalta e di Potsdam e la suddivisione del mondo in aree
di influenza. E anche gli altri leader
occidentali non credevano
granché nella possibilità di una rimozione del Muro e di una riunificazione
tedesca, né, soprattutto, potevano sospettare che esse sarebbero state così rapide
e indolori.
Il
Muro fu rimosso perché il comunismo aveva cambiato tattica: non reggendo
più la contrapposizione “muro a muro” con l’Occidente, doveva rifluire, uscire
dalla politica, abbandonare la gestione dello Stato totalitario, se voleva salvaguardare
le enormi risorse accumulate dal Partito nei settant’anni di potere assoluto su
una delle nazioni in tesi più ricche del mondo.
Il
compianto politologo Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008), ex combattente del Maquis e nel secondo dopoguerra membro dei servizi segreti francesi,
appoggiandosi a fonti dell’intelligence,
ha descritto – credo unico al mondo – la smobilitazione dell’apparato “discreto”,
se non clandestino, del comunismo sovietico – a partire dalla esportazione dei
fondi dello Stato e del PCUS nelle banche occidentali – e la riconversione dei
suoi alti dirigenti in “nuovi oligarchi”, nuovi “magnati” e talora “nuovi mafiosi”
russi, in un processo durato fino all’ammainamento della bandiera rossa dalla
guglia più alta del Cremlino, alla rinascita dell’aquila bicipite russa, al
riassorbimento dell’effimero regime “liberale” di Boris Nikolaevič Eltsin (1931-2007)
e alla ricomparsa di un potere politico “forte”, non più “nazionalbolscevico”,
ma ora solo “nazionale” e semi-democratico, di cui è, ormai da quindici anni, incarnazione
l’ex colonnello del KGB – fra l’altro
di stanza proprio a Dresda, nella Germania di Pankow – Vladimir Putin.
Quindi,
suonano male le affermazioni, riecheggiate in questi giorni, secondo cui l’Occidente
ha abbattuto il Muro o la “democrazia” ha sconfitto la “dittatura”: il Muro è
stato smantellato e la DDR cancellata dai comunisti perché costretti e decisi a
rinunciare a gestire un sistema ideologico-politico non più “appetibile” per le
masse – interne ed esterne – e compromesso dall’implosione dell’economia socialista
“reale”. E, nel contempo, per la necessità di salvare l’investimento, il
“capitale”, che, al di là del potere politico, costituiva il “corpo”, il nocciolo
duro del potere reale, del Partito – ma anche ai suoi dessous elitari e “iniziatici”, così bene descritti da Vladimir
Volkoff (1932-2005) nel suo eccellente romanzo storico Il montaggio –, in vista di una rinascita in altre forme.
Così
pure pare fuori luogo attribuire a genuini sentimenti “democratici” la presunta
adesione – se non promozione – alla dottrina della cancellazione del Muro da
parte di Gorbaciov, che se ne fece eventualmente sostenitore solo nella
prospettiva sopra enunciata o, forse, nel tentativo disperato di “salvare il
salvabile” nei rapporti con l’Occidente. Per questo mi è parsa una nota del
tutto stonata la sua partecipazione alle celebrazioni dell’anniversario, dove per
di più si è dato a convincere gli occidentali a “tifare” per Putin…
Detto
quello che ho detto, se ne può dedurre che si possa escludere il carattere
eccezionale, se non miracoloso, della fine del Muro?
No,
anzi, il contrario: la rapidità e l’imprevedibilità del collasso dell’URSS e
dei suoi satelliti europei – non dimentichiamo che in Asia il comunismo, anche
se apparentemente meno visibile, è tuttora florido e diffuso e che il massacro di
Piazza Tienanmen a Pechino cade proprio del 1989 – non si spiega solo con cause
umane. Quanti fra gli intellettuali, i servizi segreti, gli analisti di
politica estera, nel 1988 avrebbero pronosticato quanto sarebbe avvenuto nel
novembre dell’anno dopo?
Se
si fa il bilancio delle forze materiali
in campo nei due blocchi e, come accennato, alla ridotta capacità eversiva dei
movimenti anticomunisti – dati che gli analisti in genere considerano
accuratamente –, probabilmente il tramonto dell’impero “rosso”, certamente di
un impero sempre più indebolito, iniziato con la riunificazione delle due
Germanie, sarebbe durato ancora a lungo.
Se
il comunismo sovietico è scomparso così repentinamente a partire dalla caduta
del Muro alla fine degli anni 1980, non vi è dubbio che qualche fattore
invisibile e misterioso ha giocato un ruolo. E, se è vero che qui però lo storico si deve fermare, per il
credente – e per lo storico credente – è fuori di dubbio che questo fattore imponderabile,
questo quid discreto, questo agente potente
che ha permesso si producesse la somma di circostanze “fortuite”, da molti
evocata, che ha causato la fine del Muro, si chiami Provvidenza. Essa così ha
voluto, forse in virtù del fatto che da parte della Chiesa cattolica a molto di
quello che la Vergine aveva richiesto a Fatima nel 1917 per decretare la fine
del comunismo russo – il cui avvento nel mondo aveva nel contempo, ancor prima
dell’Ottobre 1917, pronosticato – era
stato ottemperato grazie ai pontefici, al sangue delle migliaia di martiri, alle
sofferenze materiali e morali di milioni di uomini e donne, nonché alle
preghiere di tanti fedeli.
Solo
chi ha potere sull’inferno, e il comunismo è stato davvero – come detto a
Fatima – un inferno in temporalibus
per tanti popoli e per la stessa Chiesa, può abbreviarne a sua discrezione la
durata… Senza dimenticare che il castigo, per l’intercessione di qualche buono,
è cessato, ma non è finito: è solo stato ridotto di peso… E senza dimenticare,
che per molti aspetti e in certi frangenti, lo stesso mondo post-moderno, con
la sua confusione e la sua dilagante corruzione morale, anche se i regimi comunisti
non vi sono più numerosi come una volta, rappresenta di per sé quanto meno una
sorta di purgatorio…
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