IL TEMPIO VUOTO
Roma, 9 marzo 2013, sabato, ore 11,10: insieme a mia moglie entro quasi
casualmente in un’antica chiesa di via del Corso, una delle due o tre dove alla
dome-nica si celebra la Messa con il rito straor-dinario. Sta celebrando un
sacerdote di mezza età, rivolto al popolo. Le luci e candele sono accese, i microfoni
inseriti: ha appena terminato di leggere la scrittura all’ambone: ne ho colto le
ultime parole, pronunciate stranamente sottovoce. Tutto regolare, insomma,
direte.
Ma non è così: la chiesa dove sono entrato, tutta linda e
lustra, è vuota, spaventosamente vuota. Oltre al celebrante non c’è nessuno: né
un chierichetto, né un laico addetto alle letture, né un solo ascoltatore. Una missa sine populo non voluta.
Decido allora di fermarmi, spinto soprattutto
dal desiderio di dare a quel sacerdote — non so se la cosa fosse per lui abituale,
ma credo che un sacerdote vi si possa rassegnare mai — la consolazione della
presenza di una se pur minima ombra di populus,
di qualcuno che ascoltasse le sue
preci e partecipasse al santo sacrificio da lui celebrato.
È la prima volta che mi capita di entrare in una chiesa
durante la Messa e di non trovarvi anima viva: mi era successo di trovare
chiese vuote, ma al di fuori della funzione principale, magari in ore in cui le
chiese non sono frequentate. Ma mai, ripeto, ho assistito a una Messa
istituzionale, ancorché feriale, in una chiesa del centro della cristianità senza
trovarvi nemmeno l'ombra di un sacrista.
Mera coincidenza o segno dei tempi? Propendo per la seconda
ipotesi. Di fatto, nessuna delle persone che gravitano intorno a quella chiesa
— tante? poche? chissà… —, né alcuno dei mille di passaggio sulla
frequentatissima via del Corso a Roma in una tarda mattinata di un giorno per
molti non lavorativo, in Quaresima, ha ritenuto di entrare e di assistere alla
messa.
Possiamo pensare che sarebbe stato così anni addietro? Oppure
oggi la partecipazione al culto pubblico è drammaticamente decaduta? Se così è,
che cosa aspettarsene? Che cosa pensare per il futuro?
Che cosa sarà domani di quella chiesa? Finirà rottamata con
tutti i suoi arredi, come accade in Olanda — lo ha raccontato assai bene
Vittorio Messori in un articolo scritto all’indomani della rinuncia di papa Benedetto
XVI —, e le sue mura ospiteranno la show
room dell’ennesimo stilista? oppure un negozio di abbigliamento trendy? o una sala-giochi? Non sono
prospettive pessimistiche di un retrivo: in molti luoghi è la realtà!
D’accordo, la messa è valida anche sine populo, Dio è soddisfatto. Ma sfortunato quel popolo che non sente più il bisogno di comunicare
ai sacri misteri: come farà a riempire il vuoto che la vita moderna crea nei
cuori? Non andrà a infoltire i ranghi — per così dire — di quelle orde di “barbari”
deracinées, stufi di Dio e vuoti di senso,
che si trascinano nei corsi e nei centri commerciali delle nostre città
secolarizzate, nei giorni festivi, sempre più etero-diretti dalla pubblicità e bramosi
appagamenti sempre più terra-terra e che nemmeno i beni materiali riescono a
colmare?
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