UN'ALTRA NAZIONE
EUROPEA "NORMALIZZATA"?
Ragazzi, ci siamo: è ora il turno dell'Ungheria. La lista dei Paesi uropei da "normalizzare" non si è esaurita.
EUROPEA "NORMALIZZATA"?
Il primo minstro ungherese Viktor Orbán |
Dopo l'Italia toccherà alla nazione magiara di essere messa a norma. L'Unione Europea non può tollerare che di lei facciano parte Paesi che non abbracciano in toto il dogma
— peraltro così vanificato in Italia in questi giorni — della democrazia totale — forse meglio: totalitaria — e progressista.
Basta che una nazione europea, fra l'altro una nazione-martire del socialcomunismo per cinquant'anni, come l'antica e nobile Ungheria, si dia istituzioni solo un po' "anomale", solo poco sensibili al "politicamente corretto", anche se coerenti contutta una storia per molti versi splendida, per sollevare la reazione dei custodi dell'ideologia democratica universale.
Dagli Stati Uniti a Bruxelles ai giornali italiani è un coro: Viktor Orbán sta cocciutamente portando il Paese verso un regime autoritario, parafascista, xenofobo, antiabortista, illiberale e, perché no?, latamente in odore di antisemitismo.
In genere non si dice mai su che quali fatti si fonda questo giudizio e l'appello alla reazione: si preferisce, come di consueto, dipingere vaghi "climi psicologici", di "tensioni", di "aria che tira", far passare modeste proteste di piazza delle sinistre della capitale per mobilitazioni popolari anti-regime, piuttosto che fare rilievi concreti, riferimenti a fatti che davvero mettano a rischio la libertà dei magiari e la collaborazione fra Paesi d'Europa.
Le accuse contro Orbán sono sostanzialmente quattro: una legge elettorale favorevole al partito che ha conseguito la maggioranza; un certo qual controllo dell'esecutivo sull'organismo giudiziario; qualche paletto messo ai media; il limite posto alla totale indipendenza della Banca centrale (che equivale alla totale sudditanza alla BCE), una costituzione che mette al bando molti casi di aborto legale: guarda caso tutti provvedimenti sono esattamente quelli che Berlusconi avrebbe dovuto varare (restringere i casi di aborto gli avrebbe fidelizzato i cattolici al di là non di una ma di dieci Ruby...) per non essere disarcionato e che non ha varato. Machiavellismo o lungimiranza, in Orbán?
Ma, invece che parlare di fatti, invece che difendere la legittimità e l'originalità delle diverse esperienze politiche, si preferisce creare una orchestra internazionale che intona la marcia funebre di un politico e di un partito invisi alla sinistra internazionale. Fra i più zelanti e sguaiati cantori si colloca il corrispondente de la Repubblica da Berlino Andrea Tarquini, evidentemente ben addestrato alla scuola del quotidiano debenedettiano, che della calunnia ha fatto non solo un venticello ma un uraganano e un serio impegno professionale.
Scrive Tarquini: "In Ungheria tira aria di golpe bianco" (20/12/2011); Orban, regolarmente e democraticamente eletto dalla maggioranza degli ungheresi, è un "autocrate" (31/12/2011), il parlamento ha varato leggi "liberticide" perché il governatore della Banca centrale sarà nominato dal Presidente del Consiglio, in sostanza come da noi (31/12/2011); "Capodanno nero sul Danubio" (31/12/2011); "un paese mitteleuropeo magnifico e vitale ma sulla via di una dittatura dal crescente fetore di fascismo" (31/12/2011); "nuova Costituzione nazionalclericale, che definisce l'Ungheria 'nazione' (etnica, non di valori come Usa, Uk, Germania o Francia)" (31/12/2011) e via di questo passo.
Il cenno, fuori luogo, alla Mitteleuropa torna ancora in Bruno Ventavoli de La Stampa il 4 gennaio 2012, quando — dopo aver parlato di "morbo antico che avvelena l'Ungheria", di "Paese [...] antimoderno" e di "borborigmi fascisti" — evoca"lo splendido mondo borghese della Budapest imperial-regia [...] Brillantezza intellettuale, tolleranza, quella civiltà dele buone maniere indagata da Elias [...] case foderate da libri dove si parlavano in famiglia, correntemente, tre-quattro lingue" e via di questo passo.
Premesso che c'è da chiedersi: se quel mondo era così bello allora perché diavolo gli amici democratici di Tarquini di qualche decennio fa lo hanno distrutto?, ci si accorge di quanto gli stereotipi di una cattiva letteratura siano diventati cattiva cultura. Mi piacerebbe sapere quante erano le case foderate di libri... e quanti ne sono finiti nelle stufe per combattere il gelo e quanti ne hanno lasciati intatti i comunisti ungheresi, quelli che hanno chiamato i carri armati con la stella rossa per reprimere la libertà ungherese, costata una rivoluzione fallita e una terribile repressione soprattuto a tanti che non avevano le case foderate di libri ma tiravano la lima.
Ma, invece che parlare di fatti, invece che difendere la legittimità e l'originalità delle diverse esperienze politiche, si preferisce creare una orchestra internazionale che intona la marcia funebre di un politico e di un partito invisi alla sinistra internazionale. Fra i più zelanti e sguaiati cantori si colloca il corrispondente de la Repubblica da Berlino Andrea Tarquini, evidentemente ben addestrato alla scuola del quotidiano debenedettiano, che della calunnia ha fatto non solo un venticello ma un uraganano e un serio impegno professionale.
Scrive Tarquini: "In Ungheria tira aria di golpe bianco" (20/12/2011); Orban, regolarmente e democraticamente eletto dalla maggioranza degli ungheresi, è un "autocrate" (31/12/2011), il parlamento ha varato leggi "liberticide" perché il governatore della Banca centrale sarà nominato dal Presidente del Consiglio, in sostanza come da noi (31/12/2011); "Capodanno nero sul Danubio" (31/12/2011); "un paese mitteleuropeo magnifico e vitale ma sulla via di una dittatura dal crescente fetore di fascismo" (31/12/2011); "nuova Costituzione nazionalclericale, che definisce l'Ungheria 'nazione' (etnica, non di valori come Usa, Uk, Germania o Francia)" (31/12/2011) e via di questo passo.
Il cenno, fuori luogo, alla Mitteleuropa torna ancora in Bruno Ventavoli de La Stampa il 4 gennaio 2012, quando — dopo aver parlato di "morbo antico che avvelena l'Ungheria", di "Paese [...] antimoderno" e di "borborigmi fascisti" — evoca"lo splendido mondo borghese della Budapest imperial-regia [...] Brillantezza intellettuale, tolleranza, quella civiltà dele buone maniere indagata da Elias [...] case foderate da libri dove si parlavano in famiglia, correntemente, tre-quattro lingue" e via di questo passo.
Premesso che c'è da chiedersi: se quel mondo era così bello allora perché diavolo gli amici democratici di Tarquini di qualche decennio fa lo hanno distrutto?, ci si accorge di quanto gli stereotipi di una cattiva letteratura siano diventati cattiva cultura. Mi piacerebbe sapere quante erano le case foderate di libri... e quanti ne sono finiti nelle stufe per combattere il gelo e quanti ne hanno lasciati intatti i comunisti ungheresi, quelli che hanno chiamato i carri armati con la stella rossa per reprimere la libertà ungherese, costata una rivoluzione fallita e una terribile repressione soprattuto a tanti che non avevano le case foderate di libri ma tiravano la lima.
Ma anche per il meno sguaiato Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera Orbán "farnetica" (30/12/2011); e vuole "[...] inzeppare la nuova Costituzione [...] con riferimenti alla mitologia nazionalistica, con Santo Stefano, la Sacra Corona, la diaspora delle minoranze magiare nel centro Europa" (30/12).
A ruota anche Fabio Morabito de La Stampa, riprendendo un funzionario di Bruxelles, riporta: "Ci chiediamo se in Ungheria ci sia una democrazia o una dittatura" (5/1/2012).
Ma pure, in certa misura sorprendentemente, il Foglio quotidiano (4/1/2012) parla, titolando, di "duce magiaro", quindi, nell'articolo, di "autoritario governo di destra", di "suicidio magiaro" risalente — udite, udite! — alle origini unne del nazionalismo ungherese e al "senso violento e malinconico di distruzione" che questa rivendicata ascendenza comporterebbe.
Probabilmente lo scopo ultimo di questa mobilitazione della stampa è punire una nazione che, in controtendenza, ha deciso con voto popolare di porre restrizioni alla piaga del'aborto procurato, di cui in tempi di comunismo l'Ungheria, insieme ai suicidi, deteneva un triste primato in Europa.
A ruota anche Fabio Morabito de La Stampa, riprendendo un funzionario di Bruxelles, riporta: "Ci chiediamo se in Ungheria ci sia una democrazia o una dittatura" (5/1/2012).
Ma pure, in certa misura sorprendentemente, il Foglio quotidiano (4/1/2012) parla, titolando, di "duce magiaro", quindi, nell'articolo, di "autoritario governo di destra", di "suicidio magiaro" risalente — udite, udite! — alle origini unne del nazionalismo ungherese e al "senso violento e malinconico di distruzione" che questa rivendicata ascendenza comporterebbe.
Probabilmente lo scopo ultimo di questa mobilitazione della stampa è punire una nazione che, in controtendenza, ha deciso con voto popolare di porre restrizioni alla piaga del'aborto procurato, di cui in tempi di comunismo l'Ungheria, insieme ai suicidi, deteneva un triste primato in Europa.
Si tratta di quella forma di coralità artificiale peraltro non nuova, di cui noi italiani abbiamo potuto fare una esperienza non secondaria nel "caso Berlusconi".
Per ora si tratta solo di una claque mediatica, ma iniziano ad affiorare i primi ricatti finanziari e fra non molto si comincerà a dare fiato alle trombe dello spread o di cose simili.
Chi si illudeva che l'Unione sarebbe stata un concerto di nazioni libere e indipendenti e la rinuncia a quote di sovranità in forma sussidiaria solo uno strumento per meglio affrontare insieme sfide che trascendevano il singolo Stato è servito: il progetto eurocratico è un progetto teconocratico ma, come forse non è del tutto noto, non esistono tecnocrati neutri.
L'ideologia della tecnocrazia è il democratismo universale, la dottrina secondo cui l'assemblea politica che decide — o pare decidere — su tutto, soprattutto sulle questioni come quelle bioetiche sulle quali non ha invece titolo di decidere, anche se poi, sulle cose "sostanziali", viene messa in naftalina o subornata.
E' quella democrazia che livella e appiattisce invece che rispettare le gerarchie sociali e di valore ed elevare il popolo, rispettandone la volontà, la cultura e l'identità storica.
La futura Europa sembra presentarsi sempre più come una colossale repubblica "giacobina" centralizzata e secolarizzata all'estremo, che non come una unione di soggetti politico-nazionali liberi che stanno insieme perché il bene comune di ciascuno dei loro cittadini passa attraverso l'unione con gli altri Paesi.
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