Per l’ennesima volta il nostro ineffabile premier Romano Prodi ha perso l’occasione di stare zitto.
Il più noto dei «cattolici adulti» è infatti uscito con queste dichiarazioni, rese in un’intervista concessa a Famiglia Cristiana e riportate dal Corriere della Sera del 1° agosto: «Un terzo degli italiani evade. Tutti facciano la loro parte. Perché, quando vado a messa, questo tema non è quasi mai toccato nelle omelie? Eppure ha una forte carica etica».
Parto la falsità dell’assunto che i preti non parlino del dovere di pagare le tasse: a me è capitato più di una volta di sentire tali richiami nelle omelie, anche se, ahimè, quasi sempre nella medesima ottica «monca» del premier; ma non solo: la Conferenza Episcopale Italiana nel 1991 — dunque ben prima che esplodesse «Tangentopoli» — ha emesso un ampio documento intitolato Educare alla legalità, in cui questo tema trova ampia accoglienza. Da allora l’educazione alla legalità è entrato (basta fare qualche ricerca in Internet) nella pastorale di più di una diocesi italiana e nei programmi dei gruppi giovanili, per esempio degli scout. E il Catechismo della Chiesa Cattolica conferma in pieno la doverosità in questione (cfr. n. 1916: «La partecipazione di tutti all'attuazione del bene comune implica, come ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata dei partner sociali. La frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia. Ci si deve occupare del progresso delle istituzioni che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini»).
Ma c’è di più: davanti agli occhi del nostro premier, «cattolico adulto», sfilano tutti i giorni in maniera torrentizia episodi clamorosi d’immoralità, appelli pressanti, richieste prepotenti, aperti attentati all’eticità della vita e disprezzo della religiosità: eppure tra le forme di comportamenti anti-etiche riesce ad accorgersi solo dell’evasione delle imposte. Degli embrioni massacrati, degli aborti «legali» a valanga, dei matrimoni omosessuali, dell’eutanasia, della pedofilia, dello sfascio morale prodotto dalla pornografia dilagante e tracimante: di tutto questo, come dicono a Roma, non gliene può fregare di meno… Invece che sottolineare il danno irreparabile apportato al tessuto della convivenza civile da una immoralità ormai entrata nei codici a Prodi importa solo che il cittadino, nonostante il marasma che lo circonda e che arriva al punto di far diventare una questione nazionale lo smaltimento dei rifiuti o , sia puntuale e docile nel finanziare uno dei principali agenti di questo sfascio della società: lo Stato democratico post-moderno temporaneamente affidato alle sue mani. Incredibile ma vero.
Le esternazioni prodiane sono tuttavia rivelatrici di qualcosa di più ampio e drammatico, che investe il campo della cultura religiosa e politica dei nostri governanti. Il doloroso strabismo di cui oggi si fa testimone Prodi, che fa considerare normalità malattie sociali gravissime mentre sopravvaluta comportamenti di certo riprovevoli, ma in ultima analisi «fisiologici», rivela una visione del rapporto con la Chiesa e delle priorità nei confronti del bene comune che devono ispirare l’azione del politico e ancor di più dell’uomo di governo che, sotto un aspetto pare mille miglia lontano dalla retta opzione cristiana e, sotto un altro, sembra quasi coincidere con quelle ideologie della modernità estrema che da decenni funestano il panorama della vita politica in Italia e nell’occidente. In particolare pare enorme il fraintendimento sul ruolo dello Stato e sui doveri del cittadino nei sui confronti. Pare che Dio abbia creato lo Stato democratico post-moderno così com’è… E invece questo è nato dalla deformazione secolare dell’organismo politico fondato all’epoca della post-romanità, differenziandosene sempre più in termini di libertà concrete, di autonomie, di autogoverno, che ha costantemente risucchiato dalla società verso apparati anonimi e meccanici.
Questo processo (che sarebbe troppo lungo descrivere) ha richiesta un sempre maggiore drenaggio di risorse dalla società che ha raggiunto gli aspetti parossistici dello Stato odierno per il quale il cittadino lavora in media sei mesi all’anno prima di poter lavorare per sé stesso. E questo è un dramma autentico che ciascuno vive sulla sua pelle e non un valore come per gli statalisti socialisti e per i «cattolici democratici». Un dramma che nel nostro paese è acuito dal fatto di avere uno degli apparati pubblici più faraonici, più simile a una democrazia popolare che non a uno Stato liberaldemocratico che poi rende ai cittadini un servizio dei più scadenti al mondo. E spesso il non pagare le tasse o tutte le tasse dovute (nonostante la sempre maggior difficoltà di attuare un simile comportamento) non è altro che una forma di auto-difesa o di protesta individualistica, una sorta di sciopero che il cittadino, infischiandosene di ogni e qualunque struttura deputata a trasferire le sue istanze verso il potere, applica autonomamente e un po’ anarchicamente.
Dunque, se è vero che ciascuno deve contribuire alla vita di quel «guscio» della società che è lo Stato, lo Stato ha il dovere di chiedere alla società il contributo minimo possibile riducendo il suo apparato e facendolo funzionare in maniera efficiente. Non solo: lo Stato stesso ha il dovere di promuovere il bene comune, il quale inizia dal divieto legiferare a favore dell’errore e del male. Sempre il Catechismo recita al n. 1923: «L’autorità politica deve essere esercitata entro i limiti dell’ordine morale e garantire le condizioni d’esercizio della libertà». Altrimenti il suo buon diritto conosce un forte ridimensionamento etico e morale. E questo è esattamente ciò che la dottrina sociale della Chiesa insegna. Forse Prodi non la conosce? non conosce il Catechismo? Se così è gli consiglierei di leggerlo prima di parlare di eticità. Non credo tuttavia che non lo conosca: è che nella sua prospettiva un insegnamento così preciso e autorevole sfuma, scolora, non è rilevante, non è in primo piano. Il problema è tutto culturale. Nella cultura politica dei cattolici democratici la subordinazione ai miti politici della modernità è totale, dalla visione della storia alla dottrina sulla società. E questa totalità si esprime proprio nella preferenza per la politica moderna a discapito della dottrina: se la Chiesa dice qualcosa di diverso dall’ultima cultura politica «laica», è la Chiesa che sbaglia… E recenti uscite di amici politici di Prodi, come Rosy Bindi e Pierluigi Castagnetti, che con questo animus attaccato hanno l’attuale «gestione» del Pontificato come un’anomalia sono del tutto eloquenti…
C’è da chiedersi dove si voglia arrivare: il gioco in effetti è sempre più smaccato e perde sempre più presa nei confronti di chi cattolico «fanciullo» e docile alla Chiesa si sente integralmente e non ama subordinazioni a culture estranee… e se Prodi e il suo entourage di cattolici più che adulti, direi senili, continua su questo timbro se ne ricorderà a tempo opportuno.
Nel frattempo preghiamo Dio che liberi la cultura politica cattolica da queste incrostazioni ideologiche «adulte», che sono una specie di camicia di forza che rende senz’altro meno facile l’evangelizzazione sociale e, quindi, frena la rinascita della società in un paese come il nostro che ne ha così bisogno, essendo un autentico «vaso di coccio» fra «vasi di ferro» in questo frangente di tumultuoso cambiamento a livello globale.
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