Nuova luce sulla campagna contro Pio XII
La memoria di Pio XII ha subito negli ultimi anni attacchi formidabili, tanto da parte ebraica — ricordo, fra i molti, i volumi di David Kertzer —, quanto da parte catto-progressista — dove spiccano gli acidi lavori di John Cornwell. La storia di questa campagna, scatenata a freddo agli inizi degli anni 1960, quando in parallelo fu lanciato a livello mondiale l’Olocausto — ossia il ricupero della memoria del genocidio degli ebrei europei perpetrato dal nazionalsocialismo —, è abbastanza nota. In specifico, già a un primo esame, traspare che i toni della polemica, mantenuta peraltro costantemente viva, si alzano o si abbassano in sintonia con la politica estera israeliana. Nell’ultimo anno pare che il fuoco di sbarramento contro la memoria di Eugenio Pacelli — che mira soprattutto nel frangente a bloccarne la causa di beatificazione — si sia alquanto attenuato. Forse perché è cresciuto l’isolamento di Israele e aumentato il suo bisogno di alleanze, anche solo sul piano morale, e forse anche perché si sono moltiplicate le testimonianze a favore di Papa Pacelli, a seguito di quella ondata di studi scientifici che in campo cattolico ha fatto da risposta alla violenta campagna diffamatoria degli anni 1990.
L’episodio comunque che ormai a opinione comune segna l’esordio della vague anti-pacelliana è la rappresentazione, nel 1963 — quindi in anni di crescente entente cordiale fra Vaticano e casa-madre del comunismo mondiale —, del dramma Il Vicario, di cui fu autore un allora semisconosciuto scrittore di teatro tedesco, Rolf Hochhuth. In quel contesto venne per la prima volta formulata in maniera precisa — e propagata poi massicciamente e per anni in Occidente — l’accusa contro il Pontefice di aver, se non collaborato positivamente, quanto meno omesso di condannare i giganteschi massacri di ebrei che avevano avuto luogo negli anni della seconda guerra mondiale nei territori del Terzo Reich.
Ora, di recente — 25 gennaio 2007 — la National Review americana ha pubblicato un articolo di Ion Mihai Pacepa — Moscow’s assault on the Vatican. The KGB made corrupting the Church a priority (L’assalto di Mosca al Vaticano. Il Kgb fece della corruzione della Chiesa una priorità) —, il generale romeno che capeggiò i servizi segreti romeni all’epoca del regime comunista di Nicolae Ceausescu e si rifugiò in Occidente nel 1978 (dodici anni prima della fine del regime), dove ha pubblicato un grosso volume di memorie, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste (L’Editore, Trento 1991), uscito in ben 27 paesi.
2. Che cosa si dice in questo articolo? Fra le altre, due cose assai interessanti. La prima che Mosca, molto urtata dall’intransigente anti-comunismo del Pontefice romano, su iniziativa del direttore del prestigioso Dipartimento per la Disinformazione del Kgb Ivan Agayants, fece raccogliere ai servizi diretti da Pacepa, che per ragioni contingenti avevano più chance del Kgb di accedere al Vaticano — il tramite inconsapevole fu un giovane monsignor Agostino Casaroli —, quante più informazioni possibili su Pio XII negli archivi e nelle biblioteche vaticani da utilizzare per orchestrare campagne diffamatorie contro di lui, decise da Kruscev fin dal 1960. Si trattava soprattutto di trasmetterne un’immagine inquinata — quella di un pontefice freddo e cattivo — per, da un lato, segnare la differenza con il nuovo clima «distensivo» inaugurato da Giovanni XXIII e continuato da Paolo VI e per impedire, dall’altro, che la sua testimonianza sostenesse la resistenza anti-comunista nei paesi cattolici dell’impero sovietico.
La seconda che la scrittura e la rappresentazione de Il Vicario sia stata un’operazione di «montaggio» di questo tipo, nata e portata avanti in questo contesto generale, avvalendosi della documentazione vaticana procurata dagli agenti della Die — i servizi segreti esterni — romena infiltrati in Vaticano da Pacepa. Va notato che Il Vicario venne prodotto e trasformato in macchina propagandistica da Erwin Piscator, un potente organizzatore teatrale comunista tedesco, amico di Bertolt Brecht, rientrato appositamente nel 1962 a Berlino Ovest dall’Urss, dove si era rifugiato durante il regime hitleriano.
3. Quelle di Pacepa non paiono due affermazioni da poco. Entrambe confermano infatti autorevolmente la tesi della «manipolazione», che si è sempre sostenuta da parte cattolica e da destra riguardo a Il Vicario. Certo la fonte andrebbe verificata con altre, ma gli archivi del Kgb — che sarebbero la fonte decisiva — sono tuttora secretati e la cosa non è dunque facile. Andrebbe anche spiegato se gli ambienti ebraici e israeliani siano stati coinvolti fin dall’inizio nell’operazione oppure — come pare più probabile, viste le relazioni allora non idilliache fra Mosca e Tel Aviv — si siano accorti in seguito delle chance che il pezzo teatrale e gli attacchi a Pio XII offrivano ai fini di una politica di auto-difesa e abbiano cercato di trarne profitto. Va comunque preso atto e tenuto buon conto delle dichiarazioni dell’ex generale romeno, in quanto aprono comunque una nuova pista di indagine e, in ogni caso, rendono più arduo ai calunniatori di Pio XII di insistere con le loro tesi.
La memoria di Pio XII ha subito negli ultimi anni attacchi formidabili, tanto da parte ebraica — ricordo, fra i molti, i volumi di David Kertzer —, quanto da parte catto-progressista — dove spiccano gli acidi lavori di John Cornwell. La storia di questa campagna, scatenata a freddo agli inizi degli anni 1960, quando in parallelo fu lanciato a livello mondiale l’Olocausto — ossia il ricupero della memoria del genocidio degli ebrei europei perpetrato dal nazionalsocialismo —, è abbastanza nota. In specifico, già a un primo esame, traspare che i toni della polemica, mantenuta peraltro costantemente viva, si alzano o si abbassano in sintonia con la politica estera israeliana. Nell’ultimo anno pare che il fuoco di sbarramento contro la memoria di Eugenio Pacelli — che mira soprattutto nel frangente a bloccarne la causa di beatificazione — si sia alquanto attenuato. Forse perché è cresciuto l’isolamento di Israele e aumentato il suo bisogno di alleanze, anche solo sul piano morale, e forse anche perché si sono moltiplicate le testimonianze a favore di Papa Pacelli, a seguito di quella ondata di studi scientifici che in campo cattolico ha fatto da risposta alla violenta campagna diffamatoria degli anni 1990.
L’episodio comunque che ormai a opinione comune segna l’esordio della vague anti-pacelliana è la rappresentazione, nel 1963 — quindi in anni di crescente entente cordiale fra Vaticano e casa-madre del comunismo mondiale —, del dramma Il Vicario, di cui fu autore un allora semisconosciuto scrittore di teatro tedesco, Rolf Hochhuth. In quel contesto venne per la prima volta formulata in maniera precisa — e propagata poi massicciamente e per anni in Occidente — l’accusa contro il Pontefice di aver, se non collaborato positivamente, quanto meno omesso di condannare i giganteschi massacri di ebrei che avevano avuto luogo negli anni della seconda guerra mondiale nei territori del Terzo Reich.
Ora, di recente — 25 gennaio 2007 — la National Review americana ha pubblicato un articolo di Ion Mihai Pacepa — Moscow’s assault on the Vatican. The KGB made corrupting the Church a priority (L’assalto di Mosca al Vaticano. Il Kgb fece della corruzione della Chiesa una priorità) —, il generale romeno che capeggiò i servizi segreti romeni all’epoca del regime comunista di Nicolae Ceausescu e si rifugiò in Occidente nel 1978 (dodici anni prima della fine del regime), dove ha pubblicato un grosso volume di memorie, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste (L’Editore, Trento 1991), uscito in ben 27 paesi.
2. Che cosa si dice in questo articolo? Fra le altre, due cose assai interessanti. La prima che Mosca, molto urtata dall’intransigente anti-comunismo del Pontefice romano, su iniziativa del direttore del prestigioso Dipartimento per la Disinformazione del Kgb Ivan Agayants, fece raccogliere ai servizi diretti da Pacepa, che per ragioni contingenti avevano più chance del Kgb di accedere al Vaticano — il tramite inconsapevole fu un giovane monsignor Agostino Casaroli —, quante più informazioni possibili su Pio XII negli archivi e nelle biblioteche vaticani da utilizzare per orchestrare campagne diffamatorie contro di lui, decise da Kruscev fin dal 1960. Si trattava soprattutto di trasmetterne un’immagine inquinata — quella di un pontefice freddo e cattivo — per, da un lato, segnare la differenza con il nuovo clima «distensivo» inaugurato da Giovanni XXIII e continuato da Paolo VI e per impedire, dall’altro, che la sua testimonianza sostenesse la resistenza anti-comunista nei paesi cattolici dell’impero sovietico.
La seconda che la scrittura e la rappresentazione de Il Vicario sia stata un’operazione di «montaggio» di questo tipo, nata e portata avanti in questo contesto generale, avvalendosi della documentazione vaticana procurata dagli agenti della Die — i servizi segreti esterni — romena infiltrati in Vaticano da Pacepa. Va notato che Il Vicario venne prodotto e trasformato in macchina propagandistica da Erwin Piscator, un potente organizzatore teatrale comunista tedesco, amico di Bertolt Brecht, rientrato appositamente nel 1962 a Berlino Ovest dall’Urss, dove si era rifugiato durante il regime hitleriano.
3. Quelle di Pacepa non paiono due affermazioni da poco. Entrambe confermano infatti autorevolmente la tesi della «manipolazione», che si è sempre sostenuta da parte cattolica e da destra riguardo a Il Vicario. Certo la fonte andrebbe verificata con altre, ma gli archivi del Kgb — che sarebbero la fonte decisiva — sono tuttora secretati e la cosa non è dunque facile. Andrebbe anche spiegato se gli ambienti ebraici e israeliani siano stati coinvolti fin dall’inizio nell’operazione oppure — come pare più probabile, viste le relazioni allora non idilliache fra Mosca e Tel Aviv — si siano accorti in seguito delle chance che il pezzo teatrale e gli attacchi a Pio XII offrivano ai fini di una politica di auto-difesa e abbiano cercato di trarne profitto. Va comunque preso atto e tenuto buon conto delle dichiarazioni dell’ex generale romeno, in quanto aprono comunque una nuova pista di indagine e, in ogni caso, rendono più arduo ai calunniatori di Pio XII di insistere con le loro tesi.
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