domenica 3 dicembre 2006


L’ineffabile ex ambasciatore Sergio Romano e grande firma del Corriere non perde colpo nel confermare il nomignolo — mai così indovinato — che da tempo si porta appresso: «cerchiobottista» («un colpo al cerchio, un colpo alla botte», come dice il vecchio adagio).
Il suo fondo di oggi, 3 dicembre, sul quotidiano milanese a commento della grande manifestazione romana della Casa delle Libertà contro il governo Prodi, tenutasi ieri, è davvero esemplare a questo proposito.

Esordisce infatti scaraventando sulla testa dell’ex premier Berlusconi tutta una serie di fallimenti, palesemente a questi non imputabili, perché frutto di processi internazionali e trasversali, letteralmente ingovernabili a livello nazionale e cioè: il modesto tasso di crescita economica dell’Italia (in uno scenario di forte recessione internazionale e di guerra «asimmetrica» come quello post 11 settembre 2001); la mancata abolizione degli ordini professionali come carente attuazione della libertà proclamata ai quattro venti (come se abolire le ultime vestigia di auto-governo di corpi sociali fosse qualcosa di libertario); la mancata riduzione della presenza dello Stato nell’economia (come se a creare lo strapotere delle grandi corporazioni industriali e finanziarie, da un lato, e di Epifani & Co., dall’altro, fosse colpa sua, del Cavaliere); infine, di non aver riformato le pensioni e di aver scaricato gli anziani sulle spalle di tanti giovani che lavorano (come se fosse una cosa che si potesse chiudere in cinque anni e nel ginepraio creato dai troppi poteri reali — Berlusconi godeva solo di quello esecutivo, non dimentichiamolo — in mano all’opposizione a livello centrale e locale).

Ma poi, come sempre la marcia indietro, che però è una marcia indietro, come di solito, parziale e un po’ furbetta, che non serve a far uscire il malcapitato dal cumulo di detriti sotto cui lo ha appena seppellito…
Soprattutto quando paragona le incompatibilità strutturali che affliggono le componenti del governo Prodi alle malaccorte rivalità di sfumature identitarie che talvolta, soprattutto nell’imminenza delle elezioni — e non all’inizio della legislatura, caro Romano —, hanno agitato la Casa delle Libertà.
E, ancora, quando accusa l’ex Presidente del Consiglio di aver occupato la legislatura precedente a creare leggi fatte approvare solo per proteggersi dalla magistratura (come se questo non fosse accaduto prima e ancora durante la legislatura di centro-destra, e le leggi non fossero erga omnes, sfruttabili cioè un domani anche dall’allora opposizione e non avesse dimostrato di aver avuto anche intuizioni sbagliate, quando in scorcio di legislatura fece approvare quella riforma elettorale, che ha determinato la vittoria di Prodi).

Ma poi il pendolo risale ancora: la manifestazione è stato un successo e il governo in carica deve tenerne conto… Un governo, fra l’altro, che dà «un pessimo spettacolo» di sé, che «non fa nulla per riformare il paese», ed è destinato a «scontentare» anche i suoi elettori. Ed elogia Berlusconi, questo «attraente “tribuno della plebe”», perché riesce a smarcarsi dal disgusto che gl’italiani mostrano in generale per l’intera classe politica, attraverso una comunicazione magistrale…

Infine, dopo tanti colpi al cerchio, l’ultima martellata alla botte: Berlusconi ha fatto un grande — pro domo sua, naturalmente — intervento, ma non ha mai citato l’Europa e la globalizzazione, che incombono drammaticamente, perché intenzionato solo a «lusingare la folla, […] sfruttare le sue paure e […] alimentare i suoi pregiudizi».
Fermo restando che in un comizio non si fanno analisi ricercate — comunque l’intervento successivo, quello di Gianfranco Fini, è sembrato più articolato e soddisfacente anche da questo punto di vista —, come può Romano non vedere nel centro-destra l’unica chance, non certo per bloccare ma per affrontare e articolare, attutendolo, l’impatto di queste due tremende pressioni? L’alternativa sarebbe Prodi, il grand commis di Bruxelles e dei potentati economici mondiali, cui forse il solo il «banchiere d’affari» D’Alema può tenere colpo? Ci sono cinque anni di fatti che parlano a favore di questa linea di ammortizzazione…

E poi in fatto di omissioni, perché Romano ha ignorato che oltre a Berlusconi ha parlato anche Fini, il quale ha magistralmente incalzato il governo, non a base di slogan e domande retoriche «da tribuno», ma snocciolando fatti e formulando giudizi taglienti come rasoi sul governo di sinistra-centro, presieduto — quousque? — dal professore bolognese? Forse perché crede che Fini non conti un bel nulla rispetto al Cavaliere? Oppure perché è più facile fare le bucce a chi dice cose vere in uno stile senz’altro tendente al populistico, che non a chi argomenta da politico di razza?

Il «gran commentatore» Romano pare in ultima analisi afflitto da una sindrome che fa sì che la mole dell’informazione e l’erudizione che egli possiede in maniera non comune, pesino su di lui fino a scatenare effetti inversamente proporzionali al loro momento e cioè creino in lui una specie di blocco o, quanto meno, una spessa ostruzione a un giudizio davvero equilibrato — che non vuol dire «cerchiobottista» — nei confronti della realtà fattuale…

E in questo si conferma il commentatore «giusto» al posto giusto, ossia quanto meglio esista per reggere la consueta linea cripto-sinistrorsa del board del suo giornale.

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