E tre! Dopo Romano e Panebianco, nei commenti al corteo della Casa delle Libertà di sabato 2 dicembre nei fondi del Corriere non poteva mancare quello del terzo “big”, del terzo “grosso calibro”, Ernesto Galli della Loggia. E il Leitmotiv è il medesimo: ridimensionare lo straordinario successo di popolo e personale segnato da Silvio Berlusconi e dagli altri leader della Casa delle Libertà.
Che cosa dice in sostanza Galli? Tanto popolo e poche élite in piazza sabato: industriali, intellettuali, artisti — sono queste le élite italiane per Galli — erano assenti o impegnate in contemporanea a negoziare rappresentanza dei propri interessi con Massimo D’Alema a Milano. La Casa delle Libertà infatti non è capace di tessere legami stabili con le classi dirigenti del paese, con la parte più “pesante” e “pensante” della società: il centro-sinistra sì. O almeno ci prova. Il centro-destra, invece, a partire dal 1994 non è stato capace di elaborare una cultura politica nuova — non più cattolica né neo-fascista — in grado di mediare fra le esigenze dei ceti di vertice della piramide sociale e la base popolare, nonostante l’ampia presa almeno elettorale su quest’ultima. E poi — tutti i salmi finiscono in "Gloria": quello delle carenze di Forza Italia è ormai una costante delle analisi galliane — Forza Italia non è un partito ma un contenitore di plastica, una “foglia di fico” che copre la personalità straripante del leader unico e maximo.
Che dire? È vero: la leadership di Silvio Berlusconi è più vicina al modello carismatico e populista, poco ideologizzata, più portata a cercare — e in questo la Tv è impagabile: non conosco i dati Auditel ma credo che gl’italiani davanti al video sabato pomeriggio e quindi presenti “in spirito” al comizio fossero un bel po’ — un rapporto diretto con il popolo.
Tuttavia nel 2001 — e qui Galli commette un errore non di valutazione ma di semplice acquisizione dei fatti, come nel caso degli altri due commentatori, per cui l’argomentazione apparentemente fila, ma è poi indebolita da questa carenza iniziale — di trovare un raccordo con gl’interessi di parte delle lobby, Confindustria in testa, Berlusconi è stato capace: il fatto è che questi settori non hanno ideologia pre-concette e scelgono spregiudicatamente su chi puntare. Per il momento il feeling è con D’Alema e con il governo Prodi, il martello delle corporazioni — di quelle della piccola borghesia e del ceto medio lavoratore, però, non di quelle dei potentati economici —, ma potrebbe rapidamente cambiare direzione… dipende… Parlare di impossibilità strutturale di rappresentare altro che fasce dei ceti medi e popolari, un pulviscolo di individui senza fisionomia e senza “peso” relativo pare francamente miope, ingeneroso e anche malizioso.
L’unico punto sollevato da Galli su cui mi pare si possa discutere è quello dei molti limiti che presenta la forma partitica — almeno del partito maggiore — della rappresentanza politica di questa Italia, riguardo al quale la classica argomentazione dell'emergenza, a distanza di oltre dieci anni dal critico 1993-94, quando tutto un elettorato orfano della Dc, del Psi e dei partitini di centro scelse Berlusconi come unica soluzione in grado di fermare la "gioiosa macchina da guerra" guidata da Achille Occhetto, ormai non tiene più. Così come palesi — anche se non gravi, e nemmeno esclusivi e senz'altro passibili di più di una giustificazione — sono i limiti evidenziati da parte della Casa delle Libertà nei cinque anni di governo, non tanto nella capacità di governare il Paese, quanto di realizzare il mandato riformistico ricevuto.
Che cosa dice in sostanza Galli? Tanto popolo e poche élite in piazza sabato: industriali, intellettuali, artisti — sono queste le élite italiane per Galli — erano assenti o impegnate in contemporanea a negoziare rappresentanza dei propri interessi con Massimo D’Alema a Milano. La Casa delle Libertà infatti non è capace di tessere legami stabili con le classi dirigenti del paese, con la parte più “pesante” e “pensante” della società: il centro-sinistra sì. O almeno ci prova. Il centro-destra, invece, a partire dal 1994 non è stato capace di elaborare una cultura politica nuova — non più cattolica né neo-fascista — in grado di mediare fra le esigenze dei ceti di vertice della piramide sociale e la base popolare, nonostante l’ampia presa almeno elettorale su quest’ultima. E poi — tutti i salmi finiscono in "Gloria": quello delle carenze di Forza Italia è ormai una costante delle analisi galliane — Forza Italia non è un partito ma un contenitore di plastica, una “foglia di fico” che copre la personalità straripante del leader unico e maximo.
Che dire? È vero: la leadership di Silvio Berlusconi è più vicina al modello carismatico e populista, poco ideologizzata, più portata a cercare — e in questo la Tv è impagabile: non conosco i dati Auditel ma credo che gl’italiani davanti al video sabato pomeriggio e quindi presenti “in spirito” al comizio fossero un bel po’ — un rapporto diretto con il popolo.
Tuttavia nel 2001 — e qui Galli commette un errore non di valutazione ma di semplice acquisizione dei fatti, come nel caso degli altri due commentatori, per cui l’argomentazione apparentemente fila, ma è poi indebolita da questa carenza iniziale — di trovare un raccordo con gl’interessi di parte delle lobby, Confindustria in testa, Berlusconi è stato capace: il fatto è che questi settori non hanno ideologia pre-concette e scelgono spregiudicatamente su chi puntare. Per il momento il feeling è con D’Alema e con il governo Prodi, il martello delle corporazioni — di quelle della piccola borghesia e del ceto medio lavoratore, però, non di quelle dei potentati economici —, ma potrebbe rapidamente cambiare direzione… dipende… Parlare di impossibilità strutturale di rappresentare altro che fasce dei ceti medi e popolari, un pulviscolo di individui senza fisionomia e senza “peso” relativo pare francamente miope, ingeneroso e anche malizioso.
L’unico punto sollevato da Galli su cui mi pare si possa discutere è quello dei molti limiti che presenta la forma partitica — almeno del partito maggiore — della rappresentanza politica di questa Italia, riguardo al quale la classica argomentazione dell'emergenza, a distanza di oltre dieci anni dal critico 1993-94, quando tutto un elettorato orfano della Dc, del Psi e dei partitini di centro scelse Berlusconi come unica soluzione in grado di fermare la "gioiosa macchina da guerra" guidata da Achille Occhetto, ormai non tiene più. Così come palesi — anche se non gravi, e nemmeno esclusivi e senz'altro passibili di più di una giustificazione — sono i limiti evidenziati da parte della Casa delle Libertà nei cinque anni di governo, non tanto nella capacità di governare il Paese, quanto di realizzare il mandato riformistico ricevuto.
Ma, anche qui, perché Galli disconosce, non citandoli, i processi di rinnovamento in atto al centro e a destra e le spinte verso un partito unitario, che proprio la piazza, nonostante Casini, ha rivelato possibile? Perché non menziona le migliaia di circoli della libertà che Forza Italia sta creando in tutta Italia? E la possibilità di una federazione dell’intellettualità di centro-destra con il network di Dell’Utri? Perché non cita il fatto che Alleanza Nazionale sta cambiando pelle per la seconda volta? Certo sono tentativi, e non è detto che riescano, tuttavia sono sintomi che il problema evidenziato da Galli — tanto quello di una rappresentanza non limitata a certe fasce e altresì meno episodica nell’indirizzare le ragioni dei ceti intellettuali e “che contano”, come pure l’elaborazione di una cultura politica più all’altezza del momento — è sentito e oggetto di sforzi di soluzione generosi e assai meno doviziosamente alimentati, che non i circoli e le fondazioni della sinistra.
Queste dimenticanze — non è la prima volta — gettano ombre non lievi — sulle cui origini non entro — sulla “scientificità”, ossia sulla neutralità valutativa, del noto politologo, che si ripercuote — ma forse questo Galli lo sa —, vista la sede in cui sono formulate, in maniera non benefica su chi rappresenta il popolo delle libertà e su questo popolo medesimo.
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