giovedì 4 marzo 2010

Un fantasma ancora bene in carne

L’articolo “fantasma” di Ernesto Galli della Loggia — uscito/non uscito sul Corriere della Sera del 2 marzo 2010 — sul “fantasma” del Pdl, come di consueto, centra il problema ma lascia a desiderare nella sua descrizione e nella sua analisi.
    Tesi di fondo: il Pdl è nel caos, in quindici anni non è riuscito a darsi una veste presentabile e si è ridotto a una “corte”, a una «somma di rissosi potentati», rimasuglio «delle oligarchie e dei quadri dei partiti di governo della prima Repubblica», popolato di gente dai «dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, gente d’ogni risma ma di nessuna capacità».
    Le cause? La personalità egocentrica del leader, estraneo alla politica moderna, troppo ricco e troppo potente nei media, incapace di costruire perfino un partito di “plastica” e, tanto più, di affrontare la crisi generale della politica post-1989.
    Dal punto di vista diagnostico è difficile non essere d’accordo con l’illustre politologo. Tuttavia il suo intervento contiene tesi dubbie e, me lo si consenta, anche affermazioni “tecniche” sorprendenti in uno studioso della sua statura.
    Innanzitutto, dà un giudizio di inadeguatezza personale e politica sul premier che pare tanto infondato quanto ingeneroso. Superficiale, perché Berlusconi ha saputo e sa interpretare a dovere il Paese e il ruolo di capo del governo di questo Paese. Ingeneroso, perché si sa che è sceso in politica dopo l’Ottantanove con le armi e i bagagli, con i pregi e i difetti di cui disponeva … Quindici anni sono troppi per “darsi una sistemata”… Forse… Ma qual è il modello di leader austero? Il mitico De Gasperi? Ma ci rendiamo conto che De Gasperi è vissuto vent’anni in Vaticano a studiare prima di essere cooptato al governo e che, al tempo delle sue esperienze parlamentari a Vienna, regnava Francesco Giuseppe?  Oppure è la Repubblica ideale?
    Silvio Berlusconi non è sceso in campo per pararsi le terga dai giudici, come dice la legione dei suoi detrattori maligni, ma come h apotuto e saputo, in spirito di gratuità — non poteva godersi i suoi miliardi agli antipodi? — e per amore del Paese. Con i giudici, poi, è avvenuto l’opposto: se li è tirati addosso entrando in politica. E la causa del suo successo è stata proprio aver indovinato, con grande acume politico — così come ha fatto Bossi con il federalismo — che le forze dell’arco costituzionale in via di liquefazione frustravano da decenni aspirazioni che erano da sempre nel Dna della maggioranza degl’italiani.
    Ancora, accusarlo di abuso di potere mediatico-finanziario per non aver rivali all’interno del suo schieramento è non solo ingeneroso, ma anche sbagliato: ma abbiamo presente chi sono i potenziali leader alternativi? Si sa di che cosa si parla nei talk show e negli spettacoli satirici nazionali? Chi è poi che fa la sponda agli avversari interni del Cavaliere — che dire dell’“eretico” Fini? — se non i media nazionali e perfino Mediaset?
    Proseguendo, perché la critica verso il Pdl è estesa all’intero centro-destra? La «Destra», secondo Galli della Loggia, non sarebbe stata capace di esprimere nulla di meglio di Forza Italia/Pdl. Chi ha scritto già nel 1994 una Intervista sulla destra dovrebbe però sapere che la destra, soprattutto quella con la maiuscola, è un’altra cosa rispetto al Pdl. E poi che il fenomeno, per più di un aspetto “di destra”, Lega Nord può lasciare a desiderare come valori e come progettualità, ma non manca certo di “tecnica” politica. A detta degli stessi avversari, il partito di Bossi — oltre a “tenere” in campo bioetico — lavora assai bene a livello locale e onora in genere le cariche che riveste. Alleanza Nazionale sarà stata forse un flop in termini di aderenza al progetto di Fiuggi, ma è stata un disegno di destra non neofascista e all’altezza dei tempi del tutto rispettabile. E anche i dirigenti locali e gli amministratori di An non si sono rivelati così scadenti come il nostro lascia intendere.
    A influire sulla condizione di imperfetta salute del partito di maggioranza vi sono anche importanti fattori che Galli della Loggia però omette di menzionare.
    A cominciare dal fenomeno macroscopico — intrinseco a ogni sistema politico contemporaneo ma in Italia particolarmente evidente — del ridursi del peso del potere esecutivo a vantaggio degli altri poteri dello Stato e dei poteri della società: il sindacato, il potere economico e finanziario, i media, gl’impalpabili e anonimi “poteri forti”. Oggi, mentre la produzione legislativa sta arrivando a livelli inimmaginabili e la magistratura ormai legifera autonomamente, il potere esecutivo è letteralmente imbrigliato da migliaia di leggi, norme, regole, procedure, authority, convenzioni, concertazioni, tavoli, “cabine di regia”, sì che non riesce a combinare molto. E questo pesa particolarmente quando si ha la voglia, la passione e la capacità di governare: tutte cose che è far torto a Berlusconi non riconoscere, a dispetto dei dubbi espressi in merito da Galli della Loggia. Se, invece di scatenargli contro la guerra santa, di presentarlo come l’“anomalia italiana”, di tentare di distruggerlo come uomo prima che come politico, lo si fosse lasciato governare decentemente, forse lo sfascio denunciato — del partito e del Paese — non ci sarebbe.
    Il professore dimentica altresì che la classe politica — a destra come a sinistra: “caso Marrazzo” o Bassolino docent — è lo specchio della società: un Paese in “coriandoli” e allo stato di “mucillagine” difficilmente può produrre una classe — iperbole voluta — di “monaci politici”. La vocazione alla politica come servizio germina solo da un humus in cui “servire” è un valore e questo non viene certo insegnato da fucine di auto-referenzialità e psicolabilità come le trasmissioni-concorso per giovani “talenti” delle nostre reti televisive. Certo, è anche vero che “piscis foetet a capite e che una classe dirigente inadeguata o corrotta, in un circolo vizioso, fa a sua volta un Paese disgregato.
    Da ultimo, non convince per nulla la tesi che la crisi delle culture politiche sia meno forte a sinistra perché più corposo sarebbe il residuo di «[…] un sessantennio di governo del Paese tanto al centro che alla periferia» e perché nel centro-sinistra «[…] sono rimasti quasi tutti i vertici della classe politica che fu cattolica o comunista, portando in dote la propria esperienza e le proprie capacità». Qui la miopia rischia di prevalere. Premesso che la corruzione ristagna ovunque, anche nelle regioni e province e comuni — Bologna docet — “rossi” e attecchisce meglio dove il blocco di potere è più coeso e sperimentato, un politologo dovrebbe evitare di assegnare a chicchessia attestati di positività, come se dipendessero da un Dna più nobile. E trascurare nel contempo il fatto che, nonostante il consenso popolare ribadito e spesso ampio e nonostante il potere conquistato a più riprese, la classe dirigente che Galli della Loggia mette sotto accusa — è una realtà lampante — ha dovuto fare i conti, spesso soccombendo, con il potere sulle strutture intermedie che è rimasto nelle mani dei “duri e puri” della sinistra, cattolica o meno, pre-89. E, come si sa, il potere in un’organizzazione come quella dello Stato moderno, quel Moloch che nasce ai tempi di Hobbes, sta proprio nelle strutture intermedie e di controllo: nelle burocrazie, nelle Corti, nelle amministrazioni, nei quadri. Questo potere sui gangli, sulle nervature della vita del Paese, è rimasto in sostanza “quello di prima”. E ha “remato contro”: non avendo più nulla da proporre, si è espresso solo in negativo, avvalendosi della facoltà di bloccare quanto di nuovo emergesse in grado di minacciare gli equilibri del sistema. Se a questo glutine, a questo denso blob, si somma l’azione ostativa concentrica di magistratura, media, forze politiche avversarie trincerate dietro la dogmatizzazione della Carta del 1948, come si può non spiegare i limiti, l’affanno che si rilevano “a destra”? Con che senso della storia può un liberale non liberal come Galli della Loggia aggredire con tanta sicumera una persona e un progetto che, si badi bene, hanno quanto meno arrestato o resa più difficile la marcia trionfale della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria?
    Per costruire un partito, una classe politica, un ceto di governo adeguati o almeno decenti occorre certo un disegno in armonia con le radici storiche del Paese, una base sociale ampia e coesa, una classe di uomini, del tempo e degli strumenti di comunicazione ben fasati sul recettore. L’attuale Pdl ha avuto in parte tutto questo: ha avuto — e ha  un — leader smagliante; un progetto di rinnovamento efficace che riuniva finalmente cattolici “non democratici” e destra; un blocco sociale — ceti medi e classi lavoratrici de-ideologizzate — non effimero. Non ha avuto però il resto: il personale politico necessario, la cultura e, di certo, checché se ne dica, la massa critica dei media — opinionisti inclusi a favore.
    I buoni politici non s’improvvisano, è vero. Ci vogliono, come detto, le “vocazioni”: ma chi le semina oggi, quando la regola è “fatti i fatti tuoi”? La scuola? Meglio non aprire il discorso… O uno sport dove il danaro, la conquista della “velina” e la bestemmia la fanno da padrone?
    Per ricondurre una democrazia contemporanea a livelli di dignità occorre ricreare i centri nervosi, rivitalizzarne le élite e rifare i luoghi di formazione, i soli soggetti capaci di dare il tono all’intero corpo sociale. La Chiesa, a partire dalle splendide lezioni sulla democrazia di Pio XII degli anni 1940 e 1950, a più riprese e almeno sul piano dei principi e dei valori, ha dato un contributo magisteriale tanto cospicuo quanto sottovalutato.
    Termino.
    A conclusione della serrata critica ci si sarebbe attesa qualche pur minima indicazione di come muoversi. In realtà così non è, e ne deduco — ma voglio sbagliarmi — che, invece che rimboccarsi le maniche, l’illustre studioso preferisca anch’egli attendere un segno dall’alto, un nutum del principe, un cenno del capo del Capo — o dei futuri Capi.
    Una classe politica e partitica si costruisce dal basso, dalle famiglie e dalle scuole: e qui la lotta è davvero dura. Esiste però l’alternativa — non esclusiva — di dar vita a una trama di centri di elaborazione e di formazione culturale orientati e di orientamento, cosa che è alla portata di molti anche se non di tutti. Un esempio? Se non altro, decidere — singoli e associazioni o corpi — di deviare una piccolissima parte del flusso di denaro diretto alle opere di carità materiale verso quella “forma eminente di carità intellettuale” che è la cultura per la politica. Intendiamoci: non significa voler disinteressarsi dei mali del prossimo, ma solo affermare che non esiste solo la salute fisica. E poi, si sa, molti costi dell’assistenza materiale sono scatenati proprio da comportamenti disordinati e autolesionistici e per certo, riducendo gli sprechi dovuti al malgoverno e alla corruzione, vi sarebbe un rimbalzo positivo all'indietro anche sull’assistenza.
    L’Italia, la destra italiana, la politica del Paese richiedono questo sforzo: primo, perché l’Italia è di centro-destra, secondo perché un centro-destra deve esserci e, terzo, il Paese — non le sue tradizioni politiche, in tal senso non del tutto incoraggianti — merita qualcosa di meglio.

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