Il «ritorno di Lapo»
Dopo il riuscito rilancio delle automobili Fiat, che ha comportato per la casa torinese uno sforzo di mutamento dell’immagine aziendale davvero non comune, pare sia ora la volta anche del rilancio del rampollo di casa Agnelli il ventottenne Lapo Elkann, dopo il suo tremendo «scivolone» di due anni fa.
L’11 ottobre 2005 infatti il giovanotto rischiò di lasciarci la pelle per aver ingerito una dose eccessiva di un cocktail di cocaina, oppio ed eroina durante una «serata» in un appartamento-postribolo torinese «ospite» di tre prostituti transessuali che frequentava abitualmente. Al clamore sollevato dallo «scandalo» — ma chi si scandalizza più, oramai? — è seguito un periodo di relativo silenzio ma non di oblio, in quanto le cronache ci informavano puntualmente dei discreti tentativi di disintossicazione che la famiglia aveva imposto a Lapo oltreoceano.
Ora pare sia venuto il momento del grande rilancio, un rilancio dove s’intrecciano il ricupero d’immagine personale, della famiglia e, last but not least, del prezioso marchio industriale torinese.
Così, grazie a preziosi e immagino non disinteressati suggerimenti — si ha proprio il sentore del trust di esperti comunicativi in azione —, il nobile volto dell’erede Fiat, abbigliato all’ultima moda, campeggia sulla prima pagina di Vanity Fair e di Vogue, riviste notoriamente d’immagine, il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa gli dedicano articoli dopo articoli — che ne attestano il pentimento e la volontà di ripartire, mentre riferiscono anche i più minuti dettagli del suo rinnovato stile —, importanti industrie tornano ad affidargli il ruolo di testimonial dei loro prodotti, gli si organizzano serate mondane di cui è il «reginetto»: l’unico pegno che deve pagare è la messa in guardia pubblica soprattutto rivolgendosi ai giovani, sui pericoli della cocaina.
Fermo restando che credo che chiunque ha sbagliato abbia il diritto di riacquistare piena cittadinanza fra le persone civili e oneste, non posso non rilevare qualche stonatura in questa vicenda di «redenzione».
A parte che non si vede come Elkann abbia «pagato» materialmente — moralmente, non è dato sapere — per il suo errore — eventualmente ha pagato, e salato, qualcun altro —, il modello che egli incarna — del tipo «soldi-sregolatezza-glamour» — non pare essere uscito nemmeno scalfito dalla squallida vicenda di cui egli è stato volontario protagonista: anzi si ripresenta prepotentemente alla ribalta attraverso lo stesso personaggio e forse proprio grazie allo scandalo da questi scatenato.
Mi sarebbe piaciuto invece che, attraverso la vicenda, proprio questo genere di vita, questo modello negativo, questo esempio di giovinezza buttata al vento, questo ennesimo «caso» di sfrenato edonismo, che si lascia alle spalle ogni norma morale e ogni legame religioso, fosse stato oggetto di condanna pubblica e di messa in guardia.
Secondo il vecchio adagio «corruptio optimi pessima», che vuol dire che più in alto sta chi si corrompe — e un Agnelli, lo voglia o no, fa parte dell’élite nazionale —, peggiore è l’indotto di tale corruzione, dal cattivo esempio di Lapo e soprattutto dalla benevola trattazione del suo infortunio da parte dei media, sono derivate conseguenze diseducative di massa. Non basta, credo, una sua frasetta di condanna della droga all’esordio della sua ripresa della scalata alla notorietà e al potere per annullare o per ridurre il guasto arrecato.
Se è vero che l’ozio è il padre dei vizi e il vizio della cocaina — uno dei più sulla cresta dell’onda oggi —, come peraltro quello delle altre droghe, si alimenta dal benessere, dalla mancanza di ideali, dall’edonismo culturale onnipervasivo, ma anche dall’ozio, non pare che il giovane Lapo abbia fatto alcuno sforzo per uscire dalla gabbia dorata in cui è nato è cresciuto: forse qualche mese alla catena di montaggio della sua azienda gli avrebbe forse fatto meglio… e avrebbe di certo dato un segnale a tanti giovani «a rischio»…
L’11 ottobre 2005 infatti il giovanotto rischiò di lasciarci la pelle per aver ingerito una dose eccessiva di un cocktail di cocaina, oppio ed eroina durante una «serata» in un appartamento-postribolo torinese «ospite» di tre prostituti transessuali che frequentava abitualmente. Al clamore sollevato dallo «scandalo» — ma chi si scandalizza più, oramai? — è seguito un periodo di relativo silenzio ma non di oblio, in quanto le cronache ci informavano puntualmente dei discreti tentativi di disintossicazione che la famiglia aveva imposto a Lapo oltreoceano.
Ora pare sia venuto il momento del grande rilancio, un rilancio dove s’intrecciano il ricupero d’immagine personale, della famiglia e, last but not least, del prezioso marchio industriale torinese.
Così, grazie a preziosi e immagino non disinteressati suggerimenti — si ha proprio il sentore del trust di esperti comunicativi in azione —, il nobile volto dell’erede Fiat, abbigliato all’ultima moda, campeggia sulla prima pagina di Vanity Fair e di Vogue, riviste notoriamente d’immagine, il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa gli dedicano articoli dopo articoli — che ne attestano il pentimento e la volontà di ripartire, mentre riferiscono anche i più minuti dettagli del suo rinnovato stile —, importanti industrie tornano ad affidargli il ruolo di testimonial dei loro prodotti, gli si organizzano serate mondane di cui è il «reginetto»: l’unico pegno che deve pagare è la messa in guardia pubblica soprattutto rivolgendosi ai giovani, sui pericoli della cocaina.
Fermo restando che credo che chiunque ha sbagliato abbia il diritto di riacquistare piena cittadinanza fra le persone civili e oneste, non posso non rilevare qualche stonatura in questa vicenda di «redenzione».
A parte che non si vede come Elkann abbia «pagato» materialmente — moralmente, non è dato sapere — per il suo errore — eventualmente ha pagato, e salato, qualcun altro —, il modello che egli incarna — del tipo «soldi-sregolatezza-glamour» — non pare essere uscito nemmeno scalfito dalla squallida vicenda di cui egli è stato volontario protagonista: anzi si ripresenta prepotentemente alla ribalta attraverso lo stesso personaggio e forse proprio grazie allo scandalo da questi scatenato.
Mi sarebbe piaciuto invece che, attraverso la vicenda, proprio questo genere di vita, questo modello negativo, questo esempio di giovinezza buttata al vento, questo ennesimo «caso» di sfrenato edonismo, che si lascia alle spalle ogni norma morale e ogni legame religioso, fosse stato oggetto di condanna pubblica e di messa in guardia.
Secondo il vecchio adagio «corruptio optimi pessima», che vuol dire che più in alto sta chi si corrompe — e un Agnelli, lo voglia o no, fa parte dell’élite nazionale —, peggiore è l’indotto di tale corruzione, dal cattivo esempio di Lapo e soprattutto dalla benevola trattazione del suo infortunio da parte dei media, sono derivate conseguenze diseducative di massa. Non basta, credo, una sua frasetta di condanna della droga all’esordio della sua ripresa della scalata alla notorietà e al potere per annullare o per ridurre il guasto arrecato.
Se è vero che l’ozio è il padre dei vizi e il vizio della cocaina — uno dei più sulla cresta dell’onda oggi —, come peraltro quello delle altre droghe, si alimenta dal benessere, dalla mancanza di ideali, dall’edonismo culturale onnipervasivo, ma anche dall’ozio, non pare che il giovane Lapo abbia fatto alcuno sforzo per uscire dalla gabbia dorata in cui è nato è cresciuto: forse qualche mese alla catena di montaggio della sua azienda gli avrebbe forse fatto meglio… e avrebbe di certo dato un segnale a tanti giovani «a rischio»…
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