giovedì 12 febbraio 2009


Era brutta e consumata, allora…

Non mi è piaciuto quel “ricordiamola da viva” che Filippo Facci ha pubblicato in prima pagina su il Giornale di oggi 12 febbraio 2009. L’intento parrebbe solo quello di dire: “era molto più brutta in extremis di quanto mostrino le foto apparse a valanga su tutti i giornali e i magazine”. In realtà, poi, Facci si dilunga in una serie interminabile di dettagli fra l’orrificato e il macabro, che ricava da una “fuga” di notizie – originata dai racconti degl’infermieri addetti al trasporto da Lecco a Udine, di due cameramen e di «due giornalisti fidatissimi» per la famiglia – tanto fidati che hanno fatto “trapelare” qualcosa –, fra cui una giornalista della Rai, unica persona ammessa dal padre nella stanza della figlia, e pare anche da un’immagine “rubata” e vista a sua volta da quattro giornalisti, rimastine “sconvolti”. Secondo queste notizie Eluana aveva «un corpo rinsecchito, gli arti da vecchia, rattrappiti», «piaghe sulla guancia destra», «naso ormai enorme», «orecchie deformate, callose», «pupille grandi e spente», «la saliva che le colava dalla bocca», «lingua morta e penzolante», ecc.

Facci non aggiunge giudizi: si limita a riportare dei fatti, chiudendo tuttavia con un eloquente ringraziamento a chi ha visto per aver fatto conoscere la vera immagine della povera disabile.
Il perché questa elencazione apparentemente avalutativa, ma da “museo degli orrori”, pare un evidente escamotage per nascondere la vera tesi: ovvero, se era conciata così, è stato poi davvero un male se Eluana è stata “terminata”?

Ma non è tanto il modo surrettizio con cui Facci ha scelto di presentare la sua posizione a irritarmi. È la sostanza di questa tesi che trovo insultante: insultante per tutti i disabili, i quali ben di rado sono belli, e per i tanti ammalati che non soffrono di alcun morbo specifico, ma solo di vecchiaia. La malattia e la vecchiaia – solo chi vive nella proverbiale torre d’avorio o si pasce di miti astratti può non saperlo – deformano, rattrappiscono, sporcano, imbruttiscono, incattiviscono. Il malato, soprattutto quello terminale, non di rado anche il vecchio, è inguardabile ed è umanamente difficile amarlo e servirlo.
È tuttavia questo un motivo sufficiente per eliminare chi è malato o chi è vecchio? Chi ci ripugna? Chi ci disturba, chi, con il suo bisogno ininterrotto, turba i nostri sogni e manda a monte i nostri progetti? Chi ci ricorda che la vita è una ruota e che ora tocca a lui, ma poi toccherà a noi? Chi ha mai detto che la vita “degna di essere vissuta” coincide con la bellezza e con la salute del corpo? E soprattutto nel caso di Eluana chi ha mai preteso che durante la sua pluriennale condizione di vita vegetativa si mantenesse bella come appare nelle foto giovanili? E, ancora, Facci si è posto l’interrogativo se Eluana sia sempre stata così? se il suo aspetto orribile non fosse invece anche e soprattutto colpa di quasi una settimana senz’acqua e senza cibo, tolti di colpo a lei, così debole? Le suore che l’hanno vista giorno dopo giorno per diciassette anni la ricordano invece ancora bella al momento di lasciare la loro clinica di Lecco. Ma di certo le suore, come la beata madre Teresa di Calcutta che non esitava a prendersi cura con amore gratuito di chi era davvero inguardabile, non sono ammalate di romanticismo, di quel romanticismo che imbeve molti liberali – e che è in sé nient’altro che una forma di malattia intellettuale e interiore – e che traspare nitidamente dalla pur felpata esternazione del giornalista, che si pone peraltro in visibile contrasto con la linea del suo giornale e con la coraggiosa presa di posizione del suo direttore nella vicenda Englaro.

Eluana e il Concordato

La ricorrenza degli ottant’anni del Concordato fra Italia e Santa Sede, caduta proprio all’indomani della dolorosa “chiusura” del “caso Englaro”, è stata occasione per ribadirne ulteriormente, da entrambe le parti, la necessità, l’efficacia, nonché la fecondità.
E in realtà dal 1929, passando attraverso l’inclusione dei Patti del Laterano nella Costituzione del 1948 e per la revisione del Concordato del 1984, pare che i patti, bene o male, abbiano “tenuto” e che la pace religiosa sia stata così garantita, e per un non breve periodo, al nostro Paese.
Tuttavia, qualcosa pare incrinare questo ottimismo bilaterale e mostri come questo rapporto pattizio tutto sommato scricchioli non poco, sì da far nascere il quesito riguardo a qual è e su chi grava il “costo” di questa relativa tranquillità.
Chi ha dovuto più spesso chiudere un occhio e forse anche due per mantenere in piedi il regime concordatario? Lo Stato italiano o l’episcopato?
Partendo dal “chi”, a mio avviso la bilancia pende sensibilmente dalla parte dei cattolici.
Già il fatto che in una nazione al 99% cattolica occorra un regime pattizio lascia alquanto perplessi: perché un Paese quasi totalmente cattolico deve essere “organizzato” da uno Stato – non parlo delle forze politiche – la cui cultura, la cui ideologia, cattolica non è, anzi, senza tanti forse, è palesemente e acremente opposta al tour d’esprit che anima i credenti in Cristo, mentre si rivela assai più vicino all’ideologia “forte” del laicismo di marca radicale e massonico? Che i cattolici italiani accettino che il proprio Stato – ovvero quella struttura, quel guscio, che esiste solo per proteggere la società e per perfezionarne il bene collettivo – sia a-religioso pare già da solo una concessione pregiudiziale, fatta a suo tempo pur di uscire da una situazione di lungo e duro assoggettamento se non di aperta persecuzione come era stato l’Ottocento.

Entrambi i partner sono cambiati, e non poco, dal 1929. La Chiesa, sotto il profilo dottrinale e pastorale, è passata attraverso la stagione di grandi mutamenti coincidente con il Concilio Vaticano II e, soprattutto, con i decenni del cosiddetto post-Concilio che l’hanno oggettivamente resa un interlocutore molto meno esigente nei confronti dello Stato di quanto fosse la Chiesa di Pio XI o di Pio XII, dal momento che è mutato il suo giudizio sulla modernità, si è ampliata la sfera di autonomia riconosciuta alla sfera temporale e sono cadute tutte le riserve nei confronti della democrazia.
Ma anche l’attuale Repubblica non è più il regime fascista di Mussolini. Ovvero un regime con il quale vi era sì sempre un potenziale contenzioso a causa della volubilità della sua “anima” e del suo latente totalitarismo, ma che vedeva nella Chiesa una grande risorsa per la nazionalizzazione degl’italiani e che mai si sarebbe sognato di mettere in discussione principi di morale naturale, che, anzi, con le sue politiche di austerità pubblica e di difesa della famiglia – magari un po’ machiavellicamente, però di fatto – garantiva e promuoveva. Nella legislazione italiana si osserva come, a partire all’incirca dalla morte di Pio XII, nel 1958, l’allontanamento dai principi cattolici, prima, e dai principi di ragione naturale, poi, sia iniziato e sia andato sempre più intensificandosi.
Quello italiano è tuttora – nonostante tutte le pur lodevoli iniziative per superare questi aspetti negativi – uno Stato in cui la pressione fiscale è alta e non può essere né discussa, né sottoposta a referendum popolare perché la Costituzione lo vieta. Dove la scuola non statale è abbandonata al suo destino e il cittadino che vuole usufruirne deve pagare due volte. Dove nelle Università statali non si può insegnare e apprendere la teologia. Dove lo Stato impone i suoi programmi alle scuole private. Dove tutto è burocratizzato. Dove chi ha famiglia paga più tasse. Dove i credenti hanno sempre minor voce in capitolo. Dove la prostituzione, l’omosessualità più sguaiata, la pornografia più squallida e la droga più insidiosa dilagano senza freno. Dove intere zone del territorio conoscono una doppia legalità, quella statale e quella mafiosa.
Ma soprattutto dove si può sciogliere una famiglia ad nutum, con pochi anni di attesa e unilateralmente, e dove si può sopprimere la vita non ancora nata e farlo con l’aiuto dello Stato. Dove si possono manipolare ancora e in certa misura gli embrioni umani. Dove, ora, dopo il “caso Englaro”, lasciato giungere alle sue ultime convulsioni per l’incuria di tutte le autorità che potevano affrontarlo, è possibile uccidere deliberatamente una disabile solo presumendone la volontà auto-omicida.

È questo un quadro costruito per gettare gratuitamente discredito su coloro che sono preposti al bene comune? Non mi pare: è piuttosto una radiografia di una condizione oggettiva, dove il cittadino ragionevole e credente che si riconosce nella Chiesa di Roma trova sempre meno spazio di libertà.
Il cardine del patto fra cittadini cattolici e Stato non è solo la libertà di religione e di culto, ma anche la presenza di strutture pubbliche immuni da veleni anti-religiosi e anti-naturali, esenti da qualunque specie di “cultura di morte” e da ogni elemento che ostacoli la “vita virtuosa in comune”, come dicevano i vecchi teologi, il che francamente non pare essere. Anzi, pare che oggi, anche grazie allo Stato, il cristiano viva immerso in un clima esterno – con ampia penetrazione in interiore hominis – in cui è sempre più difficile mantenersi coerente con le sue convinzioni.

Dunque, c’è da chiedersi se in questo peggiorato contesto abbia ancora un senso un patto. Se vi siano ragioni per mantenere una relazione collaborativa con uno Stato, che toglie sempre più respiro e dignità al cattolico. O non sia meglio – dato che l’armoniosa integrazione dei secoli passati non più essere ragionevolmente attuata – che le due realtà vivano separate, come per esempio in America. Che cos’ha a che fare la Chiesa italiana con uno Stato abortista ed eutanasico, che penalizza la famiglia e se ne infischia della salute morale dei piccoli, dei giovani e dei vecchi?

domenica 8 febbraio 2009


Un “no” che uccide

Che cos’era la dottrina comunista prima dell’Ottantanove? Semplificando, si può ridurre a tre componenti: il materialismo dialettico, l’ateismo che ne deriva e la lotta di classe.
Quest’ultima è venuta meno dopo il fallimento del socialismo “reale” alla sovietica nel 1991.
Che cos’è quindi rimasto dopo tale data nei comunisti di prima del 1989? Le prime due caratteristiche: il post-comunista rimane un materialista, anche se più che un materialista dialettico alla Engels è più simile a un materialista settecentesco o a un positivista ottocentesco. Possiamo dire che, il rattrappirsi dell’evoluzionismo marxiano ha fatto sì che il vecchio materialismo pre-dialettico rimanesse allo scoperto. Ovviamente la complessità e la ricchezza dottrinale di questa versione del materialismo sono molto maggiori che non nel XVIII secolo, perché, anche se per decenni il filone hegeliano-marxista è stato egemone, gli altri “filoni” delle ideologie moderne hanno camminato e per un lungo tratto.
E resta peraltro anche un ateo-ateista, cioè militante, e, per la presenza della prima caratteristica, il suo è un ateismo ancora più radicale, che non nega solo Dio, ma la stessa struttura metafisica e finalistica della realtà.

Mai come in queste ultime ore questa analisi si è rivelata esatta. Che cosa infatti può aver indotto un personaggio come il Capo del nostro Stato a prendere la decisione che ha preso di bloccare il decreto salva-vita di Eluana Englaro? Come si spiega un tale atteggiamento sul piano personale se non con la persistenza nel primo degli italiani, aderente al Partito Comunista Italiano fin dal 1945 e fin da subito dirigente, di una mentalità come quella che ho cercato di descrivere? E non è un caso che tutti gli esponenti del Partito Democratico di origini comuniste – ma anche una post-democristiana come Rosy Bindi –, interpellati sul caso, dagli “onesti uomini” alla “Vannino” Chiti alle milionarie platinate come Barbara Pollastrini o a signore eleganti come Anna Finocchiaro, si siano stracciati le vesti (metaforicamente) davanti all’iniziativa del Governo Berlusconi.
Se poi scendiamo sul piano politico mai come inquesto frangente è emerso lampante qual è il ruolo svolto dall’attuale Presidenza: quello di vestale della vecchia Repubblica, non tanto di quella degli anni Cinquanta-Ottanta a egemonia democristiana ma del regime di unità antifascista – il CLN – a egemonia comunista che ha dominato, anche tingendosi di sangue, gli anni dal 1945 al 1948. Di quel regime elitario e rosso, da nessuno legittimato, se non dalla sua vittoria – grazie agli Alleati – nella guerra italo-italiana del 1943-1945. Oggi l’ideologia comunista si è praticamente estinta e – di certo – anche il sangue. Ma un altro cemento ideologico, ora di segno libertario e ugualitario, è rimasto a legittimare agli occhi dei suoi antichi protagonisti o estimatori quel modello d’Italia.

Un governo di centro-destra, anche dopo il 1948, anche dopo il 1989, può vivere in Italia solo in un regime di “amministrazione controllata”, sotto la sorveglianza di esponenti della vecchia guardia e dei poteri eredi, quanto meno culturalmente, dell’azionismo e del socialcomunismo degli anni postbellici, dovendone subire le impennate improvvise e gli umori cangianti. Una custodia ora volta a reprimere – dalla presidenza o attraverso il braccio sindacale o l’ala rossa della magistratura le eventuali deviazioni e velleità conservatrici del governo eletto e ora, come in questo caso, a difendere la parte peggiore della cultura repubblicana e socialista, quella che esprime cioè quel progetto, emblematizzato ma non esaurito dai radicali, di “allineare” (così si dice) le leggi italiane al resto d’Europa, ma in realtà di far percorrere al Paese quell’itinerario, concepito nelle logge massoniche e denunciato dai cattolici già ai tempi del referendum contro il divorzio, di dissoluzione del costume nazionale, introducendo nelle leggi italiane il presunto “diritto”, dopo quello di sciogliere il matrimonio, di uccidere l’innocente nel seno della madre e quello di “morire” e di “aiutare a morire”, se non addirittura di “costringere a morire”. In tutti questi passaggi, anche nel “caso Englaro” si è sempre scelta la tattica del “caso pietoso”: per il divorzio le violenze in famiglia, per l’aborto il disagio della madre e ora, per l’eutanasia, il presunto desiderio di morte – probabilmente costruito ad arte da persone senza scrupoli (fra le quali, ahimè, il padre) – espresso del tutto informalmente dalla ragazza friulana, solo diciottenne al tempo del suo tragico incidente.

Ora finalmente si comprende quale errore abbia commesso il centro-destra nel contribuire ad affidare la magistratura suprema della Repubblica a personaggi le cui idee sono in stridente contrasto con la realtà nuova, nel bene e nel male, del Paese, a uomini che antepongono le ragioni politiche o tecnico-giuridiche alla vita di una creatura umana innocente, a persone per le quali vale di più la costituzione della vita innocente, a uomini che da materialisti e da atei “post-comunisti” non possono nemmeno immaginare la bellezza della trama di realtà, di essere, naturale e spirituale, che sta dietro, in cui è incastonata, la “vegetazione” della povera disabile.
Né, peraltro, a quali lidi potrà condurre una conclusione omicida del “caso”. Si ricorda spesso, ad altro proposito, citando il Talmud, che salvando un uomo si salva un mondo: dunque dobbiamo credere che il nostro mondo sia perduto?

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