martedì 7 maggio 2013

AL QUAEDA IN LIBIA




Riferisce La Stampa di oggi che la Libia è diventata ormai il “quartier generale di Al Quaeda”. Dopo essere state respinte dal Mali le formazioni armate islamiche fondamen-taliste si sarebbero attestate nel sud del Paese, impiantandovi tre campi di addestramento.
Fin qui, niente di particolarmente rilevante: la guerra al terrorismo conosce fasi alterne e i protagonisti ormai si muovono in un teatro quasi globale. Per questo ora di Al Quaeda parlano le cronache asiatiche, ora quella africane, ora quelle mediorientali.
Ma, dal punto di vista dell’Italia la notizia non può essere sottaciuta: finora Al Quaeda è stato per noi un fantasma, un fantasma di morte che però insanguinava scenari lontani. Ora, invece, s’insedia in un Paese il cui nord dista poche decine di miglia dalle nostre coste. Certo, la distanza è ancora notevole: ma chi può dire che fine farà la Libia? Che cosa accadrebbe se il governo rivoluzionario libico fosse rovesciato e le forze amiche di Al Quaeda s’installassero a Tripoli? E, comunque, già adesso, chi può sapere se fra coloro che approdano apparentemente migranti o profughi sulle nostre coste non siano militanti del gruppo in via d’infiltrazione in Europa? 
Si rivela qui un altra debolezza del nostro anziano Presidente e capo virtuale degli ultimi governi, Giorgio Napolitano. Oltre ad aver imposto alla nazione un governo che l'ha messa letteralmente in ginocchio (cosa che peraltro sta rifacendo con il goveno Monti-bis guidato da Enrico Letta), a suo tempo si è dimostrato quanto mai zelante nell'eseguire gli ordini provenienti dall'estero accettando di buon grado di far partecipare il nostro Paese alla guerra scatenata contro Gheddafi dalla Francia con l'obiettivo di sottrarci il petrolio libico. Recidendo così il legame con il nostro più vicino e più fruttuoso retroterra,  strategico per i nostri approvvigionamenti energetici. Come si sa, l'Italia dipende dal petrolio e dal gas naturale in misura molto maggiore che non altri Paesi d'Europa, avendo abolito molti anni fa il nucleare con un semplice referendum popolare. E il governo Berlusconi, consapevole di ciò, aveva fatto vere e proprie acrobazie diplomatiche, al limite dell'ignominia (forse qualcuno ricorda il baratto fra petrolio e autostrada costiera libica o le follie dell'ultima visita del dittatore beduino a Roma), per mantenere il rapporto con il pazzotico dittatore libico. E solo per la forte moral suasion (poi peraltro trasformatasi in vera e propria intimazione dei classici "otto giorni") di Napolitano aveva deciso di appoggiare le operazioni franco-americane contro la Libia di Gheddafi, il quale, oltre al petrolio, ci garantiva un relativa sorveglianza sull'emigrazione verso la Sicilia e comunque una stabilità generale del Paese africano a noi vicino.
Già adesso, riferisce l’articolo, il nuovo governo libico, diviso, mostra la più totale inerzia verso l’ingresso sul suo territorio di formazioni militari terroristiche. 
E il nuovo governo italiano "del presidente" che cosa fa o conta di fare adesso che il latte è stato versato? Che Dio ce la mandi buona…

giovedì 2 maggio 2013



QUELLO CHE RESTA 
DEL SOCIALCOMUNISMO




Il comunismo ha fallito su tutti i piani: non è stato capace di creare la società senza classi e nemmeno di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, che sono migliorate grazie al profitto, redistribuito, del capitalismo moderno. Non è stato capace di creare uguaglianza, ma solo feroci disuguaglianze di casta; ha saputo solo creare Stati “teocratici”, dove una ristretta cricca di appartenenti al partito ha dominato per decenni su inermi popolazioni anche di antica civiltà, massacrandone i membri e distruggendone la fibra, l’identità, il passato. La Cina di oggi, la Cina dell’aborto coatto, la Cina dove l’instaurazione del comunismo è costata almeno cento milioni di morti, ne è l’ultimo e più triste esempio.

Dopo il 1989 l’impero socialcomunista di casa-madre sovietica è crollato, l’ideologia comunista come tale non affascina più, almeno in Occidente rimane patrimonio di piccoli gruppi emarginati: ma, come i virus, il comunismo si è scisso, metamorfizzato e diffuse in forme diverse. Dell’ateismo comunista condannato da Pio XI è caduta la componente “comunismo” ma è restato vivo e vegeto l’ateismo, l’irreligione, il “progetto” — ma forse in tempi di pensiero debole è eccessivo parlare di progetto — di una vita senza Dio, anzi contro Dio, l’ultimo simulacro e il simulacro ultimo di autorità da abbattere per far posto a una vita auto centrata sull’individuo, sui suoi desideri, sulle sue passioni e velleità: una vita completamente emancipata da Dio e dalla sua legge. Anzi, una vita che irride come antiumano ciò che è religioso e chi religiosamente vuole vivere, da singolo e in forma associata. Il comunismo non costruisce e non può costruire più niente: ma se non c’è più la vernice, è rimasto il solvente.

Queste riflessioni mi affiorano alla mente dopo aver visto il filmato del volgare sacrilegio compiuto sul palco del concerto del Primo Maggio 2013 a Roma in diretta TV su una rete televisiva pubblica, che esige manu militari ogni anno una tassa di proprietà di qualunque apparecchio in grado di ricevere. Nell’occasione un giovane cantante di un complesso — delle decine che si sono esibite sul palco con canzoni ed esibizioni che veicolavano idee e stili di vita di certo non tutti edificanti — si è presentato sul palco con il capo coperto dal cappuccio di una felpa — poi si capirà perché — ostendendo, letteralmente, come un sacerdote che presenta al popolo l’ostia consacrata, una confezione di preservativi e pronunciando parole assai simili a quelle della consacrazione della messa — «Questo è il modello che uso io, che toglie le malattie dal mondo, prendetene e usatene tutti, fate questo, sentite a me» —; dopo di che, si è scoperto il capo, si è inchinato e a ha mostrato una tonsura dei capelli simile a quella di un frate francescano, con palese allusione alla figura di papa Francesco, lasciando intendere che il suo consiglio di fare uso del condom fosse una sorta di messaggio evangelico mediato dalla figura e nello spirito del santo di Assisi.

E tutto questo è avvenuto a Roma, di rimpetto alla basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma, la sede del seggio di Pietro, della cattedra del Papa. Una piazza sempre più spesso scandalosamente sequestrata dai sovversivi di ogni genere e stabilmente illustrata dalla vicinanza di un’area ad alta concentrazione di locali per omosessuali.

Pensate solo se il cantante avesse parodiato l'adorazione che i musulmani prestano al Corano o se avesse scimmiottato Mohammad! Probabilmente non avrebbe visto l'alba...

C’è da rimanere sbigottiti del fatto ma ancor più dalla debolezza delle reazioni — almeno a oggi 2 maggio, quando i giornali non escono — che il fatto ha suscitato: lo stesso Corriere della Sera, nella sua versione online, ovviamente, ne accenna, ne pubblica  il filmato, ma sotto il titolo pilatesco Polemica per il condom in diretta; la Repubblica gli dedica, oltre al filmato, solo un ridottissimo box in cui menziona la sola reazione del gruppo Militia Christi; qualcosa di più La Stampa; persino Avvenire minimizza, limitandosi a un breve trafiletto in cui riporta le dichiarazioni, naturalmente di condanna, di Luca Borgomeo, presiden-te dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart.

Il Primo Maggio dei lavoratori è divenuta in realtà la festa di ciò che resta delle organizzazioni socialcomuniste di controllo del mondo del lavoro e dei lavoratori delle fabbriche e dei campi, che attraverso questa stanca liturgia musicale cercano di presentarsi come vive e vitali ma in realtà raccolgono solo militanti e funzionari, nonché giovanotti e giovanotte fanatici della musica popolare di avanguardia. E, attraverso il gesto di una delle “Muse” — ma, ahimè, quanto squalificate —cui hanno ritenuto di doversi affidare per fare festa, questi brandelli di utopia socialista rivelano il vero volto dell’ideologia a cui s’ispirano. Un’ideologia la cui unica cosa da dire, la sola forza rimasta è quella di irridere Cristo e il suo vicario, papa Francesco.

Preghiamo Dio che questi rimasugli di un mondo che troppo male ha prodotto nei secoli — forse talora pentendosene ma di certo senza mai scusarsene — finiscano presto del tutto nella pattumiera della storia e il mondo del lavoro torni a lasciarsi illuminare dalla luce di Cristo e dalla dottrina sociale della sua Chiesa, gli unici che possano fare almeno in certa misura il suo vero bene. E questo anche mantenendo e riproponendo  il suo plurisecolare insegnamento morale secondo cui il controllo artificiale delle nascite non può che generare quel calo demografico che è l’autentico dramma dei Paesi occidentali e dell’Italia in particolare e che è, altresì, la radice prima della crisi economica in cui ci troviamo immersi.

E preghiamo altresì che vi sia un questa volta un gesto di riparazione e di riconsacrazione della piazza, magari a opera del clero della Basilica romana più oltraggiata.


domenica 21 aprile 2013



Napolitano-bis
sconfitta o vittoria del PD?



Comunque si sia dipanata la vicenda, al PD è riuscito il grande slam, cioè ha preso tutto: ha il capo dello Stato, ha i presidenti delle due camere (autorità n. 2 e 3 della Repubblica), avrà il capo del governo, che sia di larghe intese o meno, e, quindi, la totalità o la maggioranza dei ministeri. E tutto questo con un misero 29% dei votanti che, considerando l'intero corpo elettorale, equivale a un elettore su quattro. Oggi, 21 aprile, il Corriere titola “Berlusconi gongola”. Ma vi è motivo per gongolare? Certo: poteva andare peggio. Tuttavia è drammaticamente frustrante per i conservatori: 1) che si gongoli quando si è perso e le conseguenze della sconfitta, non solo di una élite politica ma di una porzione significativa del popolo italiano, sono gravi e si assaporeranno in tempi lungh; 2) non essere stati capaci nemmeno di esprimere, quanto meno in prima battuta, un “candidato di bandiera”, avendo fin dalla partenza come unico candidato, ergo come unico progetto di guida della Repubblica, l’inciucio con l’avversario. 
A Berlusconi il fallimentare (in casa propria) Bersani è riuscito, miracolosamente ma non di meno fattualmente, a non lasciare nemmeno le briciole.
Da oggi (per inciso il dies natalis di Roma) in poi l’Italia sarà tenuta saldamente in pugno dalla vecchia diarchia Napolitano-Monti, forse nell’attesa che a quest’ultimo subentri un personaggio come Amato, di cui gl’italiani ricordano ancora il borseggio sui conti correnti, oppure uno dei peggiori nemici del conservatorismo, il velenoso e rancoroso genietto del male Enrico Letta, un giovane-vecchio (giovane di età, vecchio di idee) della peggiore specie, e che avvenga l’avvicendamento al Colle del vecchio presidente postcomunista con il nuovo eurocrate Monti, da rincuorare dopo le legnate prese da capo-partito e forse ancor maggiormente gradito del primo allUnione Europea. Avremo quindi o una Italia Napolitano-Monti o una Italia Monti-Amato/Letta. 
Il che lascia intuire quale futuro di lacrime e sangue ci aspetti, e pronosticare una ulteriore accelerata nel declino del Paese, forse fino al di là della soglia da cui non ci si potrà riprendere nemmeno con una dittatura militare.
A questo punto che Bersani vada in pensione, che SEL lasci il PD, che il PD si spacchi diventano fenomeni, tutto sommato, di sfondo: di certo la classe dirigente del centrodestra — anche se in certi momenti dei giorni scorsi, di fronte alla bagarre “intrademocratica”, il partito è sembrato una corazzata blindata, una specie di  PCI dei tempi d’oro — non saprà approfittare anche perché di elezioni, salvo sorprese, si riparlerà nel 2018 della crisi intestina dell’avversario, troppo inconcludente, impreparata e “Arcorecentrica” com’è. 
L’unica chance che a mio avviso ha oggi l’area berlusconiana non è accettare un eventuale governo di larghe intese dove, qualora si faccia, i rappresentanti del centrodestra avranno un ruolo non superiore a quello del personale di pulizia di Montecitorio, ma boicottare con la guerriglia diplomatico-parlamentare l’imminente vicenda dell’incarico ad Amato o a Letta e puntare con tutte le forze disponibili su una nuova tornata elettorale, da giocare, sperando che dopo l’ennesima débacle almeno un barlume di buon senso torni a brillare, con determinazione, con volti vecchi (magari in ruoli nuovi) ma anche volti nuovi e progetti chiari e seducenti per quella minoranza di elettori di centrodestra che non va a votare o per i centristi ingenui sconfortati dopo l’esito della manovra Casini-Monti. Magari senza dimenticare i principi non negoziabili...

martedì 16 aprile 2013


LA VOLPE E I LEONI ASSOPITI



Non si riesce a fare un governo coerente con il risultato delle recenti elezioni politiche, ergo coerenti con la volontà del popolo italiano (espressa ovviamente, non in modo assoluto ma in relazione al ventaglio di offerte poco attraenti o autenticamente millantatrici che gli si ponevano).

Prima abbiamo avuto l’attesa per il conferimento del mandato esplorativo al “vincitore” di marzo, quindi la lunga esplorazione, accompagnata dall’ostinata operazione di seduzione dei “marziani” 5 Stelle, poi la rinuncia “non definitiva”, infine i dieci saggi (o i "dieci piccoli indiani" di Agatha Christie?). E ancora: l’analisi delle proposte dei saggi e lo stop dovuto all’elezione presidenziale. A cui farà seguito l'attesa dell’insediamento del nuovo “uomo (o donna) del Colle” e il conferimento di un nuovo mandato per la formazione di un governo da parte sua. Oppure nuove elezioni, si vocifera a luglio.

Cercando di tradurre in tempi tutte queste successive fasi procedurali  si ottiene la seguente cronologia.

A dicembre del 2012 Berlusconi “stacca la spina” al governo Monti e apre la crisi: il governo Monti rimane in carica per l’ordinaria amministrazione; a marzo: elezioni anticipate; intorno al 10 aprile fine del lavoro dei saggi; 18 aprile inizio delle elezioni per la presidenza; insediamento di “Mister (o miss/mistress) X” a maggio; conferimento del mandato a giugno; fine esplorazione a giugno o luglio; inizio attività nuovo governo a settembre. Oppure: elezioni a luglio, conferimento del mandato a settembre, avvio del nuovo governo nella migliore delle ipotesi a ottobre 2013.

Risultato: forse nessuno se n'è accorto i leoni della politica dormono —, ma Monti, invece che andare a casa ad aprile, governerà fino all’ottobre del 2013
E questo che cosa significa? Che, nonostante tutte le varianti in corso d’opera, Monti arriva a fine-mandato, anzi va oltre.

Il governo di emergenza opererà, ancorché a regime ridotto — ma sarà bello vedere chi ostacolerà le impennate di giri che vorrà permettersi —, per un bel pezzo. Ma dare a Monti più mesi (otto o nove) per lavorare significa aggravare le conseguenze di quello che è riuscito a fare e a non fare nei mesi dal novembre 2011 al dicembre 2012. Quindi vuol dire aggravare la recessione e aumentare il peso del fisco che non riesce più a “realizzare” i suoi target attingendo perché il corpo sociale e il mondo delle imprese sono sempre più esangui. Lalgido e miope governo tecnico magari ci “coprirà” validamente ma alla lunga i nodi veri, espressi dai numeri verranno a galla — con Bruxelles, ma, d’altro canto, arrecherà al Paese un danno difficilmente rimontabile e la pazienza degl’italiani, con una tassazione al 52%, non sarà eterna.

Accadrà così, per altro verso, esattamente quello che aveva previsto il vecchio Volpone (chi non ricorda lingegnosa e scaltra trama della vecchia commedia Volpone di Ben Jonson, divulgata dal film Masquerade degli anni Sessanta?) che si appresta a lasciare la residenza che fu gdi Pio IX. Napolitano si dimostra ancora una volta, nonostante l'immagine di apparente debolezza che lo connota, il vero vincitore e il vero politico — moderno, ergo machiavelliano — di rango: ha spaccato e poi distrutto il potere del centrodestra, la cui remuntada assomiglia sempre più a uno spasmo preagonico che non a una reazione salutare; ha spianato la strada a un successo, ancorché di Pirro (non “di Pirlo”), della sua antica compagnia, ma ha tutelato questa compagnia dal disastro di dover gestire il potere in una condizione di minoranza e di minorità. 
E ha nel contempo dimostrato oltre ogni dubbio che nella Presidenza, rebus sic stantibus, ovvero con questa Carta costituzionale invecchiata e piena di buchi altro che la più bella del mondo, si nasconde un potere che la debolezza dell’esecutivo e la minorità del parlamento rivela essere il vero potere. In questo crepuscolo della politica, gli attori sbiadiscono e quello che emerge è il regista del film. Quest’ultimo è un incompiuto che dovrà essere ultimato e rifinito da un altro regista. Vuoi vedere che sarà un personaggio dalla stessa “scuola di cinematografia?

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