martedì 10 gennaio 2012

Berlinguer (primo a destra) con alcuni  
dirigenti del PCI degli anni 1970)
MILANO: VIA ENRICO BERLINGUER, N. 1 


   Bene: finalmente anche Milano, come tante città d'Italia confesso che ignoravo non ne avesse una... , avrà la sua "Via Enrico Berlinguer, 1922-1984, politico".
   Ovvio: a "[...] un grande politico, ma anche un uomo di grande moralità che ha segnato un periodo storico importante. Un grande italiano" così lo ha definito l'assessora all'Urbanistica del Comune Ada Lucia De Cesaris scomparso non è dignitoso far mancare una pubblica commemorazione intitolandogli una strada.
   Ma è realmente come pensa e dice l'assessora? Chi è stato in realtà Berlinguer?
   Segretario politico del Partito Comunista Italiano, ha diretto  con efficacia, dal 1972 al 1984, la filiale italiana dell'internazionale rossa. Come dirigente locale riconosciuto e di alto rango del movimento giovanile e poi del Partito ha portato avanti la linea del movimento marxista-leninista mondiale al di là della "diversità" esteriore del comunismo italiano nel contesto di uno dei Paesi più delicati e complessi dell'Occidente, Paese di frontiera con l'area socialista e sede allo stesso tempo del vertice mondiale della religione più diffusa del pianeta, il cattolicesimo na sorta quindi di "tana del nemico"
   Come tale è stato costantemente schierato dalla parte dei nemici dell'Occidente e dell'Italia in tutti i frangenti (dalla guerra del Vietnam ai missili Nato) in cui gli interessi di questi fossero in gioco nel mondo bipolare, diffamando e boicottando tutte le forme di resistenza alla comunistizzazione del globo, lottando contro tutti i regimi che ancora vi si opponevano, lanciando campagne pacifiste sempre a senso unico. 
   Mai una sola lacrima, una sola critica davanti agli orrori che il comunismo veniva accumulando in tutto mondo dove regnava e dove voleva instaurarsi: non per gli studenti e operai  di Budapest nel 1956, non per i monaci tibetani nel 1957, non per Praga nel 1968, non per la Polonia "normalizzata", non per i martiri anticastristi cubani, non per i GuLag, non per i Laogai: il torto, i martiri erano sempre a Occidente... e gli assassini sempre gli stessi: i "fascisti", i reazionari, i generali.

   A lui si deve il tentativo più sviluppato e articolato in termini di mezzi messi in campo e di sottigliezza ideologico-politica per instaurare nel nostro Paese un governo comunista forse "all'italiana" ma non meno socialista e, quindi, non certo "a misura d'uomo e secondo il piano di Dio", collaborando con i cattolici democratici della DC e con i socialisti. 
   A lui si devono sconfitte demoralizzanti e devastanti per la fibra morale del Paese e per i cattolici come quella in occasione del referendum sul divorzio e quella nel successivo referendum sull'aborto, successi per le sinistre avvenuti grazie al decisivo contributo della macchina politica e organizzativa di un partito che vantava allora circa ottantamila funzionari sparsi sul territorio, il larga misura mantenuti con l'"oro di Mosca" e con le tangenti sull'import-export  verso i Paesi dell'area del socialismo reale.

   A lui si deve il tentativo di mantenere nelle fabbriche (leggi nella Fiat) il clima d'impunità e di terrore che vi si era radicato negli anni della rivolta operaia iniziata nel 1969 e nel quale, come in brodo di coltura, erano germinate le Brigate Rosse: quel clima che fu rotto, letteralmente, dalla "marcia dei Quarantamila" quadri e operai avvenuta a Torino nel 1980. E sarà promotore della presa di posizione comunista contro il terrorismo ultras solo quando a cadere sotto il piombo deelle mitragliette dei brigatisti sarà il sindacalista comunista Guido Rossa: prima, tutto quello che faceva rivoluzione andava bene e andava "gestito" anche se nato fuori della "casa-madre". 

   Berlinguer è il principale ispiratore della cosiddetta "politica di austerità" che, nel corso degli anni Settanta del XX secolo, impose  all'Italia rompendo per la prima volta l'euforia e l'ottimismo seguiti al dramma della guerra persa un look triste e sinistro: divieto di libera circolazione dei capitali; aumento dei prezzi dei carburanti, blocchi della circolazione e targhe alterne per ragioni non ecologiche ; anticipo del telegiornale per invitare ad anare a letto più presto; città più buie. 

   Al di là delle intenzioni personali, egli in sostanza non fece mai nulla che accrescesse realmente il bene comune della nazione di cui era parte e parte eminente: lo sforzo stesso di migliorare le condizioni del "proletariato", di combattere alla fine degli anni Settanta il terrorismo ultracomunista e di "strappare" con Mosca sono da vedere sempre inscindibilmente legate al suo ruolo e alla sua membership di alto livello del movimento rivoluzionario di obbedienza moscovita in tutte le evoluzioni strategiche e in tutte le metamorfosi subite da quest'ultimo.

   Credo che i motivi di riflessione (e anche d'indignazione, anche se in questi giorni vi sono forse motivi più forti) su un piccolo gesto che però conferma un quadro siano almeno due. 
   Da un lato non credo basti essere un politico, ancorché "grande" (Hitler non è stato anch'egli, nella sua perversione, un grande uomo politico?), per meritare una strada, e che occorra invece essere oggettivi e indiscutibili operatori di bene comune per meritare il ricordo di tutti i cittadini, come avviene attraverso la toponomastica. 
   L'altro è che davvero il passato in questo Paese non vuol proprio passare. E che non vi è cenno (anzi, questo piccolo evento suona proprio come campanello d'allarme) di quella volontà di depurarsi delle scorie del Novecento, non solo materiali in primo luogo liberandosi del socialismo di Stato che soffoca la ripresa italiana, ma anche mettendo mano alla memoria collettiva espressa dai nomi delle vie; sarebbe un segnale importante: quante vie "Lenin", quante vie "Togliatti", quante vie "Berlinguer" vi sono ancora in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio? , ma soprattutto culturali che impediscono di affrontare, con tutta l'efficacia che richiedono e che il Paese è n grado di mettere in atto, le nuove sfide, sempre più incalzanti, cui ci troviamo di fronte hic et nunc, a inizio del Terzo millennio cristiano.

   Ritenere che Berlinguer sia stato un benefattore pubblico equivale in un certo senso a ritenere che le idee per cui si è speso e le politiche da lui perseguite e attuate siano valide e benefiche e non semplicemente un contributo, ancorché indiretto, a quella "vergogna" del secolo passato che è stato (e per milioni di asiatici tuttora resta) l'"impero del male", in tutte le sue svariate forme e declinazioni.
   Una vergogna, per i cui terrificanti crimini, per inciso, nessuno ha finora pagato: anzi, i suoi massimi corresponsabili sono ancora in via di "canonizzazione" da parte delle amministrazioni pubbliche progressiste odierne di un Paese che ne è stato anch'esso teatro e vittima.

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