venerdì 11 novembre 2011

CHI GOVERNA LA LIGURIA?


­La stampa italiana è davvero una potenza: è talmente forte che è capace di plasmare addirittura la realtà. Come vi riesce? Non sempre con mentendo, ma semplicemente ritagliandola, facendo un collage di spezzoni di fatti per costruire una immagine complessiva da essi difforme. Lascio per un attimo da parte la cronaca politica che di questo patisce in maniera “cronica” – mi si passi il bisticcio terminologico – per soffermarmi su un piccolo episodio di cronaca. Nelle recenti alluvioni di Genova e del Levante ligure sono emerse precise responsabilità – non voglio condannare senza processo, per questo non dico “colpevolezze” – delle autorità comunali e regionali.
Ora – questo è il fatto che voglio sottolineare – non è mai stato detto che chi governa il Comune di Genova e la Regione Liguria è esponente di rilievo - nel secondo caso un ex ministro della Repubblica – del Partito Democratico.
Nemmeno Avvenire, che sicuramente non fa parte dello schieramento di cui è centro il secondo partito politico del Paese, ha osato pronunciare il nome del Pd.
E questo sarebbe questo un modo ineccepibile di comportarsi, se fosse parte del codice deontologico comune del giornalismo.
Ma così non è e pare invece, questo della stampa, un atteggiamento di oggettivo favoreggiamento nei confronti di chi governa a sinistra.
Provate a pensare che cosa sarebbe successo se fossero stati coinvolti dei rappresentanti del centrodestra, della Lega o del PdL.
Avremmo visto le loro facce sbattute in prima pagina con tanto di didascalia e di n. di tessera!

giovedì 10 novembre 2011

Inizia la "normalizzazione"? 

Ventidue anni fa veniva rimosso il Muro di Berlino e l’Europa, forse il mondo, voltava pagina. Da noi oggi pare invece che quello che il 9 novembre del 1989 aveva spazzato via si riaffacci con un volto senz’altro meno truce ma, come di consueto, beffardo e protervo.
Se sarà varato un governo Monti vorrà dire che la vacanza — in senso tecnico, ma non solo — è finita. Se il Parlamento del 2008-2011 sarà il primo parlamento senza comunisti, il governo Berlusconi IV sarà stato l’unico e l’ultimo governo eversivo del vecchio patto del CLN, la sola eccezione nel panorama dei governi del secondo dopoguerra, anche tenendo conto dei governi senza PCi e senza PSI di prima del 1963. L’Italia verrà così “normalizzata” — e prego chi legge di amplificare con cura tutti gli echi che questo termine, dopo Varsavia 1980, può evocare il lui (o in lei) —, rientrerà nei ranghi entro cui la vogliono costringere le forze “conservatrici” e nostalgiche del “vecchio regime”, indebolite ma mai sconfitte.
Ma la vogliono anche — pare — i poteri europei. Anzi, vogliono addirittura un commissariamento totale. A costoro non basta più inserire nei governi eletti dal popolo figure di “osservatori” alla Dini (Berlusconi I) o alla Renato Ruggiero (Berlusconi II): adesso vogliono che un ex commissario europeo — “ironia della sorte”, mandato a Bruxelles nel 1994 da Berlusconi —, investito del laticlavio in extremis per oscurare la natura “tecnica” del soggetto — assuma la titolarità dell’esecutivo, adoperando la leva dell’emergenza finanziaria — ma è anche emergenza economica? — per estorcere l’assenso all’operazione “normalizzatrice” anche dello sconfitto, ovvero del PdL.
Che la sovranità del quarto esecutivo Berlusconi fosse limitata lo si era capito da un pezzo. Il Presidente della Repubblica si è sempre preso libertà inaudite, con il plauso del suo schieramento di origine, la sinistra. Le regole costituzionali — la nostra Carta si è rivelata nel contempo tutt’altro che “la più bella del mondo”, come sostiene l’on. Bersani, ma un vero e proprio colabrodo, da riformare a ogni costo —, hanno consentito che contro il governo eletto dal popolo fosse scatenata un lotta implacabile non tanto da una opposizione, tanto virulenta e proditoria quanto palesemente impotente a gestire persino se stessa, ma da apparati gravidi di potere reale, come la magistratura, i media nazionali e stranieri, l’intellighenzia e lo spettacolo — che hanno tramutato il titolare della Presidenza del Consiglio in una macchietta, insolentita dal colto e dal popolaccio —, i sindacati e la Confindustria, e ora la Commissione Europea. Tutto questo sforzo corale ha impedito il normale svolgimento della legislatura. Anzi, la resistenza del premier e dei suoi collaboratori nel tentare di attuare comunque il programma in un contesto di crisi finanziaria internazionale iniziata proprio nel 2008 e aggravatasi in seguito, davanti a questa gigantesca “orchestra” è apparsa del tutto straordinaria.
Certo Berlusconi paga oggi la disinvoltura con la quale ha gestito la sua immagine pubblica, e che gli ha inimicato i cattolici “doc”, così come la colpa di aver portato a Montecitorio, come si dice, “cani e porci”: relitti del vecchio socialismo, ex soubrette, show-girl, sarti celebri, maneggioni vari e incapaci, che davanti alla prospettiva di dover tornare a lavorare oggi hanno preferito tradirlo.
Sì, tradirlo, con buona pace del professor Galli della Loggia che irride sul Corriere di oggi lo sfogo di Berlusconi dell’altroieri, ignorando infatti la carica idealistica che vi è dietro a regimi carismatici e populistici come quello berlusconiano e dimostrando così per questo — ma anche per il benvenuto che dà poco dopo, nello stesso intervento, al "ritorno della politica", un ritorno che vede solo lui —, per inciso, ancora una volta i limiti della sua autorevolezza come politologo. L’altroieri è stata tradita non solo una persona, ma anche un programma di autentico rinnovamento — pur con non tutti i suoi limiti — del Paese.
Che cosa possiamo attenderci?
Non occorre la sfera di cristallo per pronosticare una imminente stangata fiscale bella forte, che graverà come sempre sui minores e che non passerà forse nel silenzio passerà ma di sicuro nell’acquiescenza dei sindacati e scatenerà l’entusiasmo dei “normalizzatori responsabili” e che il centrodestra dovrà mandar giù comunque. Con un governo tecnico di larghe intese ai moderati e ai conservatori verrà a mancare quel potere fra i poteri che nello stato policentrico moderno è il potere esecutivo e parlamentare. Chi se ne approprierà potrà così finalmente avere un’orchestra al completo di tutti i suoi strumenti, anche se la musica che suonerà non sarà delle più gradevoli. Dopo la stangata è facilmente prevedibile che cercheranno di tradursi in realtà tutti i “sogni nel cassetto” — chi ha sentito il discorso di Bersani in piazza San Giovanni a Roma lo scorso sabato ne ha avuto un inventario completo — che la sinistra ha coltivato negli ultimi anni, soprattutto in materia di etica pubblica e di etica della vita.
Forse ci saranno le elezioni, ma solo quando farà comodo a chi tira le fila e, probabilmente, con una legge elettorale che penalizzerà il centrodestra.
L’importante è che di fronte alla situazione repentinamente mutata il PdL non si lasci demoralizzare e non si disgreghi. Sono possibili articolazioni tattiche — qualcuno ha parlato di andare alle elezioni con due liste, una dei fan di Berlusconi, l’altra con l’etichetta PdL —, anzi è bene che si pensi a come aumentare con la flessibilità delle formule l’efficacia dell’azione politica. Soprattutto è urgente che si rinnovi il personale politico candidato a sedere in parlamento: basta con i personaggi “prestati alla politica”, basta con "nani, saltimbanchi e ballerine"... Ma, occorre abbandonare per prima cosa ogni prospettiva di sollievo e di inazione del tipo: “ora la patata bollente passa nelle mani della sinistra: vediamo come se la cava…”. Il centrodestra deve rimanere coeso nel riproporre con forza quel programma che non è riuscito ad attuare in pieno per colpa altrui. E, imparando da come ha agito l’avversario, cerchi di far pagar cara ai nuovi poteri ogni loro mossa.
Soprattutto, gli uomini del centrodestra, fra cui non pochi cattolici, si convincano che nella storia e nella politica non vi è nulla che duri per sempre così com’è. E che nei momenti di rovescio bisogna tenere fermi i principi, i ruoli, le regole, la propria identità e la propria responsabilità di rappresentare le istanze di milioni di italiani, ancora una volta in via di essere beffati da “quelli che contano”.
Che cosa augurarsi? Ormai solo che il governo tecnico e di larghe intese fallisca e si torni alle urne. Spiace dirlo, perché le elezioni ci costeranno un sacco di quattrini che si potrebbero destinare a cose più urgenti e non è assolutamente probabile che un centrodestra, anche rinnovato — l'assenza quasi certa del vecchio leader sarà un handicap non da poco e le primarie, se vi saranno, potrebbero rivelarsi controproducenti —, le vinca. Però è meglio rischiare una sconfitta alle urne che farsi governare e tosare in silenzio come le pecore.












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