martedì 17 febbraio 2009


Allarme violenze sessuali

Alto è il livello d’indignazione delle autorità pubbliche, dei comitati di opinione, dei giornali, di ogni e qualunque istanza di se pur minima valenza morale, sui ripetuti casi di violenza su donne.
Approfittare della propria forza, ricevuta in sorte senza alcun merito rispetto ad altri esseri strutturalmente deboli perché “progettati” diversamente e per altre finalità oppure perché contingentemente in condizione di minorazione è un atto infame e vigliacco, che la collettività ha il dovere di prevenire e reprimere con decisione e in tutte le forme possibili.
Ma – c’è un ma – chiunque avesse questo intento si troverebbe e si trova a fare i conti con un contesto, con un milieu, radicalmente favorevole. L’attra­zione sessuale è oggi infatti largamente stimolata e deviata da tutta una serie di fattori, divenuti ormai ambientali, in cui questa violenza matura ed esplode. Proverò a elencarne alcuni.

1. La diffusione della iconografia pornografica più abietta è ormai un fatto endemico e capillare: diversi canali televisivi “dedicati”, Internet e telefonini con immagini di perversioni – “professionali”, artigianali e casalinghe – oltre ogni limite concepibile e a costo zero, film, riviste, romanzi, e chi più ne ha più ne metta. La fruizione di questo materiale, oggi che ogni studente ha un computer, non conosce più barriere, entra aggressivamente attraverso lo spam della posta elettronica fin nell’intimità delle camerette dei nostri figli più giovani.
2. Libertà sessuale completa, non più prevalentemente maschile e non più solo eterosessuale, praticata e pubblicizzata anche da coloro che dovrebbero essere i modelli, i fari, le guide per il popolo e per i suoi cittadini più giovani e meno difesi. E offerta a ogni angolo di strada, e quasi in forme da supermarket lungo le strade fino ai paesi più piccoli dove una volta era il parroco a dettar legge.
3. Ricerca del piacere trasgressivo in ogni sua forma, da quello gastronomico a quello erotico, da quello drogastico a quello uditivo. A che cosa si riducono le serate – e non più solo del sabato – per migliaia di giovani, di adolescenti, di teen agers in luoghi dove si partecipa ad autentiche orge collettive ritmate dalla musica ossessivamente ritmata come nelle tribù primitive? Ballo e sballo, uragano dei sensi, uscita de sé stessi: “sballo” uditivo, “sballo” allucinatorio e, dulcis o amarus in fundo, “sballo” sessuale…
Negli ultimi decenni si è venuto a creare un clima morale, una condizione interiore diffusa, un ambiente morale, in cui per Dio non c’è più posto oppure è sostituito dalla droga – chi non ha notato il “Dio c’è” scarabocchiato sui cartelli stradali lungo molte arterie italiane? –, in cui i cosiddetti “valori” svogliatamente trasmessi dalla generazione precedente – a sua volta figlia, se non di uno “sballo”, di un colossale sbandamento – scompaiono e sono irrisi, in cui l’orizzonte resta popolato solo di “neo-valori” – che poi sono quelli di sempre, antichi quanto l’umanità –: l’effimera bellezza, il successo senza sforzo, la disponibilità di denaro, l’auto più bella (il falso status symbol), le prestazioni sessuali più “eccelse”, la resistenza più strenua agli stupefacenti e alla fatica. Un naturalismo deviato, dominato dalle mode, dai consumi, dalla fuga dalle responsabilità.
Tocco solo alcuni punti, ma il panorama è assai più ampio. E non entro nel merito della mancanza di repressione, che non solo autorizza certi comportamenti ma fa perdere addirittura il senso del confine fra lecito e illecito…
Sono perfettamente consapevole che non per tutti e ovunque è così, che i nostri giovani non siano fatti tutti con lo stesso stampino. Ma, se sono diversi, lo sono per grazia di Dio, in virtù di un habitat diverso, e non di rado a prezzo di uno sforzo personale – ex ante ma talvolta ex post, magari in una comunità di ricupero – che è imposto da questo clima sfavorevole alla virtù in senso lato, dall’onestà alla temperanza sessuale, da questo ambiente, dall’habitat in cui si cresce e si diventa uomini e donne.
Tornando al discorso della violenza sessuale, bisogna aver il coraggio di dire e di scrivere che questo humus non può non condurre a moltiplicare – ci sono sempre stati – casi come quelli che dolorosamente accadono. Perché stupirsi se a qualche giovane la disponibilità a concedersi delle coetanee non basta più? se non basta più la meretrice o il “travestito”? se vuole sperimentare forme “estreme” – ma vecchie quanto la cattiveria umana – di piacere erotico aggredendo una persona indifesa? E se l’autore è un immigrato semi-abbrutito, perché stupirsi che persone lontane da casa e diseducate moralmente – ma non tanto perché represse sessualmente ma perché abituate al tradimento, alla dissimulazione, alla violenza spicciola per procurarsi, chissà, una lampadina, una fetta di carne, una pila – da decenni di “socialismo reale”, davanti all’illimitata possibilità di ubriacarsi che esiste nel nostro Paese – fanno ridere le regulation in termini di orari imposte in alcune città o gli etilometri – possano assalire signore e giovani?
Per concludere pare realmente ipocrita – ma quanta ipocrisia c’è nella nostra democrazia? – fare la faccia dura davanti a episodi di violenza carnale, quando si teorizza che il sesso è de-ordinato rispetto alla procreazione, è fine a sé stesso, quasi l’ultimo “valore”superstite, quando tutta una fascia della società – imprenditori e “maestranze” dell’industria pornografica, prostitute, gioventù –, vive di “carne”, esibita senza decenza e a fine di lucro, è ossessionata dal successo e dall’insuccesso in materia erotica. Se si vuole davvero ridurre i casi di violenza non servono le ronde notturne, ma bisogna tornare a insegnare che cos’è la vita e che posto vi occupa il sesso.
Due lucidi vescovi


Colgo due begli spunti in altrettanti testi di vescovi riportati da Avvenire di domenica 15 febbraio 2009. Il primo è di Carlo Caffarra, cardinale arcivescovo di Bologna, l’altro del vescovo di Grosseto, il meno noto Giacomo Babini.
Nel caso Englaro, ricorda Caffarra, lo schiaffo è stato sì contro il diritto alla vita di una creatura innocente, ma anche contro la pietas cristiana, Per la prima volta in Italia si è scelto con determinazione implacabile di respingere – meglio: «delegittimare nella coscienza del nostro popolo» – un atto di carità a vantaggio di un atto di presunta e malintesa giustizia. Si chiede il cardinale: se certe vite, di comune accordo, non sono degne di essere vissute in base a certi parametri ed è meglio spegnerle, a che cosa serve la tenace e paziente carità degli operatori sanitari cristiani come le suore di Lecco? Finché restava un’opinione di alcuni la cosa era meno grave: ma oggi è lo Stato, attraverso la mgistratura, ad avallarla.
Mentre Babini si chiede: «Ma la Costituzione forse è diventata più importante dei comandamenti di Dio? Siamo stati per 50 anni genuflessi di fronte al termine “Resistenza” e ora sull’altare ci mettiamo il termine “costituzione”?».
Mi pare si tratti di due lucide prese di coscienza del fatto che il “caso” Englaro non sia stato appunto un caso, ma qualcosa di preordinato e che lancia un segnale e un allarme. La prima avverte che il secolarismo ha varcato un nuovo confine, non apprezza più la gratuità cristiana ma le antepone la propria cultura di morte. La seconda comprende che oggi fare la Rivoluzione non consiste più nel – prima fare e poi – difendere la vittoria nella guerra civile, tesi che è stata un autentico grimaldello per arruolare tanti che comunisti non sono mai stati, a partire dai cattolici democratici. Ora, visto che la Resistenza, i cui misfatti affiorano a ogni piè sospinto e che puzza troppo di mitra, non è più difendibile, occorre conservarne lo spirito difendendo contro ogni evidenza l’oggetto che ne è il frutto più maturo e caratteristico: la carta del 1948.
In conclusione due indicazioni preziose per chi oggi conduce la battaglia anche politica per la vita: irrobustire l’alternativa caritativa e lottando per una migliore carta fondamentale della nostra Repubblica.
Monsignor Caffarra va, come gli è solito, ancora più alla radice: di fronte al forsennato razionalismo individualistico che connota questa fase post-moderna: «Di fronte al mistero della sofferenza e del male, alla ragione che non sa rispondere alla domanda “perché?”, non resta che riconoscere umilmente che il mistero, senza negare la ragione, la trascende. Non c’è altra possibilità di salvezza per una ragione che non voglia dissolversi nell’assurdo».

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