domenica 10 marzo 2013

 
IL TEMPIO VUOTO
 
   Roma, 9 marzo 2013, sabato, ore 11,10: insieme a mia moglie entro quasi casualmente in un’antica chiesa di via del Corso, una delle due o tre dove alla dome-nica si celebra la Messa con il rito straor-dinario. Sta celebrando un sacerdote di mezza età, rivolto al popolo. Le luci e candele sono accese, i microfoni inseriti: ha appena terminato di leggere la scrittura all’ambone: ne ho colto le ultime parole, pronunciate stranamente sottovoce. Tutto regolare, insomma, direte.
   Ma non è così: la chiesa dove sono entrato, tutta linda e lustra, è vuota, spaventosamente vuota. Oltre al celebrante non c’è nessuno: né un chierichetto, né un laico addetto alle letture, né un solo ascoltatore. Una missa sine populo non voluta.
   Decido allora di fermarmi, spinto soprattutto dal desiderio di dare a quel sacerdote — non so se la cosa fosse per lui abituale, ma credo che un sacerdote vi si possa rassegnare mai — la consolazione della presenza di una se pur minima ombra di populus, di qualcuno che ascoltasse le sue preci e partecipasse al santo sacrificio da lui celebrato.
   È la prima volta che mi capita di entrare in una chiesa durante la Messa e di non trovarvi anima viva: mi era successo di trovare chiese vuote, ma al di fuori della funzione principale, magari in ore in cui le chiese non sono frequentate. Ma mai, ripeto, ho assistito a una Messa istituzionale, ancorché feriale, in una chiesa del centro della cristianità senza trovarvi nemmeno l'ombra di un sacrista.
   Mera coincidenza o segno dei tempi? Propendo per la seconda ipotesi. Di fatto, nessuna delle persone che gravitano intorno a quella chiesa — tante? poche? chissà… —, né alcuno dei mille di passaggio sulla frequentatissima via del Corso a Roma in una tarda mattinata di un giorno per molti non lavorativo, in Quaresima, ha ritenuto di entrare e di assistere alla messa.
 
   Possiamo pensare che sarebbe stato così anni addietro? Oppure oggi la partecipazione al culto pubblico è drammaticamente decaduta? Se così è, che cosa aspettarsene? Che cosa pensare per il futuro?
 
   Che cosa sarà domani di quella chiesa? Finirà rottamata con tutti i suoi arredi, come accade in Olanda — lo ha raccontato assai bene Vittorio Messori in un articolo scritto all’indomani della rinuncia di papa Benedetto XVI —, e le sue mura ospiteranno la show room dell’ennesimo stilista? oppure un negozio di abbigliamento trendy? o una sala-giochi? Non sono prospettive pessimistiche di un retrivo: in molti luoghi è la realtà!
 
   D’accordo, la messa è valida anche sine populo, Dio è soddisfatto. Ma sfortunato quel popolo che non sente più il bisogno di comunicare ai sacri misteri: come farà a riempire il vuoto che la vita moderna crea nei cuori? Non andrà a infoltire i ranghi — per così dire — di quelle orde di “barbari” deracinées, stufi di Dio e vuoti di senso, che si trascinano nei corsi e nei centri commerciali delle nostre città secolarizzate, nei giorni festivi, sempre più etero-diretti dalla pubblicità e bramosi appagamenti sempre più terra-terra e che nemmeno i beni materiali riescono a colmare?

 

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