mercoledì 27 gennaio 2010


Nuove insidie contro il conservatorismo?




Sfoglio il supplemento culturale de il Sole-24Ore del 24 gennaio e m’imbatto in un breve articolo — ma posto in seconda pagina — in cui sono riportati — mi par di capire ricavando le frasi citate da Facebook o da altri siti su cui il nostro esterna — alcuni scampoli del pensiero di Angelo Mellone, «professore di scienze politiche alla Luiss», nonché intellettuale “di destra” di area finiana, che l’articolista — o forse, più verosimilmente, il titolista — accredita della capacità e dell’intento di «[…] racconta[re] il mondo dei conservatori italiani». 
   Se un primo sobbalzo mi assale leggendo il titolo — ma dove stanno, mi chiedo, oggi i conservatori in Italia? —, sono colto da una vera e propria sequela di sussulti a mano a mano che mi addentro nel testo. 
   Le esternazioni di Mellone, nota bene uomo “di destra”, sono infatti del tipo: «la parola d’ordine della nuova destra [è] contaminazione»; «[…] gli sconfinamenti culturali sono necessari. L’intellettuale irregolare non esiste più: la cultura è irregolare!» e, infine, la «[…] difesa dell’identità nazionale [va] sganciata da appartenenze etnico-religiose», con l’auspicio secondo cui «la famiglia […]“deve aprirsi al riconoscimento delle coppie di fatto”». E ancora: secondo lo  scienziato politico tarantino-romano fra l’altro è sbagliato che «la cultura […] train[i] la politica»: infatti «siamo pieni di teorici di politica ma mancano [udite, udite] i tecnici». Fra le “teste” che comunque apprezza e a cui si abbevera — si noti l’omogeneità di posizioni — si collocano l’economista Geminello Alvi, il filosofo Giovanni Reale, il teologo nonché patriarca di Venezia Angelo Scola, un “giovane” — ma il cui nome evoca francamente il manzoniano Carneade — «professore di politiche pubbliche all’università della Tuscia» Luigi Di Gregorio —, Luca Beatrice — «critico d’arte e curatore del controverso padiglione Italia dell’ultima Biennale di Venezia» — e infine il filosofo conservatore — questa volta autentico — inglese Roger Scruton. Ma nel pantheon di Mellone non mancano fior d’intelletti come il recentemente scomparso “intellettuale d’area” Giano Accame, il regista Paolo Virzì, Allan Bloom, Danny Kruger, Alain-Gerard Slama, Pierre Manent. E nemmeno “classici” autori di “destra” — o, almeno, di una certa destra decadentistica — come Ernst Jünger, Ezra Pound e Gabriele D’Annunzio. Sorprende nel novero dei pensatori citati da Mellone la presenza di Augusto Del Noce, che però vi è ammesso solo perché, secondo Mellone, il filosofo torinese «[…] bacchettava i cattolici per il loro rifiuto della modernità». La stoccata finale velenosa contro Marcello Veneziani — «È triste pensare che sia Marcello Veneziani a rappresentarci ancora in Italia», perché «con questa destra non si va da nessuna parte» — completa un quadro già abbastanza compromesso.
   A mano a mano che i sussulti si esauriscono e riesco a esaminare con maggior calma le idee e le proposte politico-culturali di cui Mellone — quanto meno secondo l’identikit che ne traccia il quotidiano confindustriale — si sente latore si noti: sotto la voce “idee di destra”, e la reazione “prima prima” — del tipo: “e invece con la tua idea di destra dove diavolo si va?” — che sentivo montare si stempera, mi risultano chiare alcune cose che vi “giro”.
   Premetto che è possibile pensarla come si vuole e agire politicamente nella direzione che più pare opportuna: tuttavia, non si può, a mio avviso, collocarsi dove si vuole. Anche se le etichette “destra” e “sinistra” nel terzo millennio stanno perdendo rilevanza perché le questioni più gravi ormai “attraversano” gli schieramenti, sono tuttavia persuaso che nel sentire comune questi due termini tuttora rimandano tuttora a due modi di concepire la società del tutto diversi e radicalmente antitetici in re. Per questo designare idee che dicono riferimento intrinseco alla prima sfera come proprie della seconda o viceversa sa di surrettizio e di abusivo. Ed è questo proprio che Mellone fa accreditando come nuovo modo di concepire la destra idee che trovano posto dappertutto, tranne che in ogni spazio che abbia anche solo l’odore della destra. 
   Quanto riferisce il Sole ovviamente non copre di certo tutto lo spettro del pensiero del giovane intellettuale finiano: tuttavia, sebbene per flash, lo mette in mostra e lo propone a un pubblico assai più ampio di quello cui normalmente le risorse — fra le quali si deve annoverare, pur con alti e bassi di simpatia, ahimè anche il Foglio di Giuliano Ferrara — dell’area “farefuturista” consentono di arrivare. 
   Partendo da questa base, forse esigua ma tant’è, mi permetto qualche succinta messa a punto. La galleria di avatar che ispira il pensatore finiano, piuttosto che una costellazione ideale, evoca una caotica e strampalata galleria d’arte, dove convivono fianco a fianco capolavori antichi e parti eterogenei della sensibilità artistica recente, più spesso grottesche e beffarde contraffazioni dell’arte medesima. Il primo rilievo è infatti che Mellone non fa suo tanto l’errore di questo o di quel personaggio — sarebbe troppo lungo in questa sede dibattere se D’Annunzio è di “destra” oppure se Jünger, che si autodefiniva un “anarca”, anch’egli lo sia —, bensì li presenta tutti indiscriminatamente come equipollenti e li associa tutti arbitrariamente alla visione di “destra”. In secundis, come può, ci si domanda, uno scienziato della politica, per di più docente — anche il suo nominativo non figura nel sito web dell’ateneo —, uscirsene con tesi del tipo “mancano i tecnici”? E chi diamine sono Amato, Ciampi, Dini e Prodi? forse degli astronauti? o delle badanti? Così, come si fa ad attribuire a Del Noce il se pur minimo “invito” alla modernità? Viene spontaneo chiedersi: ma l’ha mai letto?
Per finire, non posso assolutamente condividere, anzi giudico una pesante insolenza, la “tristezza” del nostro nel sentire associare d’abitudine alla destra la figura di un intellettuale forse discutibile — e che non sposo in toto — ma comunque di razza — se non altro per l’ampiezza della visuale e per il fine senso dello humour che lo contraddistingue — come Marcello Veneziani, che molti più meriti e molti più diritti di “associabilità” alla destra vanta a paragone del “trentaseienne” e alquanto presuntuoso politologo tarantino «innamorato del sud».
   La destra non è quel che Mellone vuol far credere: la destra è ordine e armonia, razionalità e sapienza, conservazione e progresso, identità nella tradizione, ancorché critica, amore per la vita, per la famiglia naturale, per una educazione secondo Dio e nel rispetto della memoria privata e pubblica. Nulla di questo si rinviene nei principi che ispirano il “neo-destro” Mellone e ben poco negli autori che “assume” come di destra, mentre vi si rilevano, questo sì, le più viete “contaminazioni” della cultura post-moderna e di “pasticci” culturali recenti e meno recenti.
   Nella ridda di richiami ideologici contraddittori che Mellone spaccia per destra pare veder riaffiorare antichi fantasmi dottrinali e note operazioni di disinformazione. Quanto meno s’intravede in senz’altro meno “nobili” quella “nouvelle droite” — peraltro non estinta — che imperversava nel mondo grosso modo “di destra” intorno dagli anni Settanta del secolo scorso agli esordi, cioè, di Alain de Benoist. 
   Questo amalgama di spunti conciliato con opzioni esistenziali e politiche discutibili lascia percepire proprio l’odore di un “neofuturismo”, di una esasperazione cioè di quei motivi individualistici che conciliano il peggio della tradizione con il peggio della modernità; a un tour d’esprit cioè di cui la Fiume dannunziana degli anni 1920 può essere considerata l’emblema.
A mio avviso questa ambigua ripresa di motivi spuri appaiati a stili di vita negativi non è isolata. È ancora fresco di stampa il manifesto del giornalista Camillo Langone — guarda caso lanciato anch’esso da il Foglio — per una sedicente “destra divina”, il cui avatar sarebbe niente po po’ di meno che il noto ideologo di destra Pier Paolo Pasolini. Per più di un palato probabilmente l’ossimoro vivente di uomo innamorato delle forme tradizionali e al contempo convinto (almeno a parole) gaudente risulterà indigesto e vivrà di certo non oltre l’espace d’un matin. Ma per palati più facili e per tutto un genere di umanità per cui i dieci comandamenti dovrebbero essere nove o forse otto o forse solo sette, può produrre una fascinazione ad infera del tutto perniciosa. 
   Siamo di fronte a mio avviso, in conclusione, ad assai poco originali tentativi, magari piccoli ma pericolosi — intorno a Hitler agli inizi erano in quattro gatti… —, d’inquinare quel po’ di destra che riesce faticosamente a sopravvivere e di logorare qualunque sforzo organizzato di rinascita su basi metafisiche e organiche della società del nostro Occidente. Come la “nuova destra” laicista e abortista degli anni Settanta e Ottanta, così oggi queste “contaminazioni” destra-sinistra sono volte a creare de facto una “classe dirigente di riserva” — così si esprimeva il sociologo Massimo Introvigne in un suo saggio del 1977 — anche per il processo rivoluzionario “avanzato” odierno. Se il marxismo marciante del secolo XX avesse fallito, vi era sempre qualche alleato insinuatosi nella destra su cui contare per far sopravvivere e per portare avanti sotto altra ragione sociale i principi libertari ed egualitari. Ai giorni nostri, se la sinistra “ufficiale” franasse ci vorrebbe qualcuno a tener vivi gli stessi motivi ideologici benché sotto altro cappello. Una operazione del genere su scala macroscopica fu attuata in Germania — ma non solo — negli anni Venti, quando Hitler fu “preparato” — senza alcuna implicazione complottistica, ma con ampio riferimento invece alla “meccanica della Rivoluzione” — come alternativa allo spartachismo, fallito, e a Stalin, troppo “indigesto” per i tedeschi conservatori. 



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