giovedì 12 febbraio 2009


Eluana e il Concordato

La ricorrenza degli ottant’anni del Concordato fra Italia e Santa Sede, caduta proprio all’indomani della dolorosa “chiusura” del “caso Englaro”, è stata occasione per ribadirne ulteriormente, da entrambe le parti, la necessità, l’efficacia, nonché la fecondità.
E in realtà dal 1929, passando attraverso l’inclusione dei Patti del Laterano nella Costituzione del 1948 e per la revisione del Concordato del 1984, pare che i patti, bene o male, abbiano “tenuto” e che la pace religiosa sia stata così garantita, e per un non breve periodo, al nostro Paese.
Tuttavia, qualcosa pare incrinare questo ottimismo bilaterale e mostri come questo rapporto pattizio tutto sommato scricchioli non poco, sì da far nascere il quesito riguardo a qual è e su chi grava il “costo” di questa relativa tranquillità.
Chi ha dovuto più spesso chiudere un occhio e forse anche due per mantenere in piedi il regime concordatario? Lo Stato italiano o l’episcopato?
Partendo dal “chi”, a mio avviso la bilancia pende sensibilmente dalla parte dei cattolici.
Già il fatto che in una nazione al 99% cattolica occorra un regime pattizio lascia alquanto perplessi: perché un Paese quasi totalmente cattolico deve essere “organizzato” da uno Stato – non parlo delle forze politiche – la cui cultura, la cui ideologia, cattolica non è, anzi, senza tanti forse, è palesemente e acremente opposta al tour d’esprit che anima i credenti in Cristo, mentre si rivela assai più vicino all’ideologia “forte” del laicismo di marca radicale e massonico? Che i cattolici italiani accettino che il proprio Stato – ovvero quella struttura, quel guscio, che esiste solo per proteggere la società e per perfezionarne il bene collettivo – sia a-religioso pare già da solo una concessione pregiudiziale, fatta a suo tempo pur di uscire da una situazione di lungo e duro assoggettamento se non di aperta persecuzione come era stato l’Ottocento.

Entrambi i partner sono cambiati, e non poco, dal 1929. La Chiesa, sotto il profilo dottrinale e pastorale, è passata attraverso la stagione di grandi mutamenti coincidente con il Concilio Vaticano II e, soprattutto, con i decenni del cosiddetto post-Concilio che l’hanno oggettivamente resa un interlocutore molto meno esigente nei confronti dello Stato di quanto fosse la Chiesa di Pio XI o di Pio XII, dal momento che è mutato il suo giudizio sulla modernità, si è ampliata la sfera di autonomia riconosciuta alla sfera temporale e sono cadute tutte le riserve nei confronti della democrazia.
Ma anche l’attuale Repubblica non è più il regime fascista di Mussolini. Ovvero un regime con il quale vi era sì sempre un potenziale contenzioso a causa della volubilità della sua “anima” e del suo latente totalitarismo, ma che vedeva nella Chiesa una grande risorsa per la nazionalizzazione degl’italiani e che mai si sarebbe sognato di mettere in discussione principi di morale naturale, che, anzi, con le sue politiche di austerità pubblica e di difesa della famiglia – magari un po’ machiavellicamente, però di fatto – garantiva e promuoveva. Nella legislazione italiana si osserva come, a partire all’incirca dalla morte di Pio XII, nel 1958, l’allontanamento dai principi cattolici, prima, e dai principi di ragione naturale, poi, sia iniziato e sia andato sempre più intensificandosi.
Quello italiano è tuttora – nonostante tutte le pur lodevoli iniziative per superare questi aspetti negativi – uno Stato in cui la pressione fiscale è alta e non può essere né discussa, né sottoposta a referendum popolare perché la Costituzione lo vieta. Dove la scuola non statale è abbandonata al suo destino e il cittadino che vuole usufruirne deve pagare due volte. Dove nelle Università statali non si può insegnare e apprendere la teologia. Dove lo Stato impone i suoi programmi alle scuole private. Dove tutto è burocratizzato. Dove chi ha famiglia paga più tasse. Dove i credenti hanno sempre minor voce in capitolo. Dove la prostituzione, l’omosessualità più sguaiata, la pornografia più squallida e la droga più insidiosa dilagano senza freno. Dove intere zone del territorio conoscono una doppia legalità, quella statale e quella mafiosa.
Ma soprattutto dove si può sciogliere una famiglia ad nutum, con pochi anni di attesa e unilateralmente, e dove si può sopprimere la vita non ancora nata e farlo con l’aiuto dello Stato. Dove si possono manipolare ancora e in certa misura gli embrioni umani. Dove, ora, dopo il “caso Englaro”, lasciato giungere alle sue ultime convulsioni per l’incuria di tutte le autorità che potevano affrontarlo, è possibile uccidere deliberatamente una disabile solo presumendone la volontà auto-omicida.

È questo un quadro costruito per gettare gratuitamente discredito su coloro che sono preposti al bene comune? Non mi pare: è piuttosto una radiografia di una condizione oggettiva, dove il cittadino ragionevole e credente che si riconosce nella Chiesa di Roma trova sempre meno spazio di libertà.
Il cardine del patto fra cittadini cattolici e Stato non è solo la libertà di religione e di culto, ma anche la presenza di strutture pubbliche immuni da veleni anti-religiosi e anti-naturali, esenti da qualunque specie di “cultura di morte” e da ogni elemento che ostacoli la “vita virtuosa in comune”, come dicevano i vecchi teologi, il che francamente non pare essere. Anzi, pare che oggi, anche grazie allo Stato, il cristiano viva immerso in un clima esterno – con ampia penetrazione in interiore hominis – in cui è sempre più difficile mantenersi coerente con le sue convinzioni.

Dunque, c’è da chiedersi se in questo peggiorato contesto abbia ancora un senso un patto. Se vi siano ragioni per mantenere una relazione collaborativa con uno Stato, che toglie sempre più respiro e dignità al cattolico. O non sia meglio – dato che l’armoniosa integrazione dei secoli passati non più essere ragionevolmente attuata – che le due realtà vivano separate, come per esempio in America. Che cos’ha a che fare la Chiesa italiana con uno Stato abortista ed eutanasico, che penalizza la famiglia e se ne infischia della salute morale dei piccoli, dei giovani e dei vecchi?

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