martedì 10 gennaio 2012

Berlinguer (primo a destra) con alcuni  
dirigenti del PCI degli anni 1970)
MILANO: VIA ENRICO BERLINGUER, N. 1 


   Bene: finalmente anche Milano, come tante città d'Italia confesso che ignoravo non ne avesse una... , avrà la sua "Via Enrico Berlinguer, 1922-1984, politico".
   Ovvio: a "[...] un grande politico, ma anche un uomo di grande moralità che ha segnato un periodo storico importante. Un grande italiano" così lo ha definito l'assessora all'Urbanistica del Comune Ada Lucia De Cesaris scomparso non è dignitoso far mancare una pubblica commemorazione intitolandogli una strada.
   Ma è realmente come pensa e dice l'assessora? Chi è stato in realtà Berlinguer?
   Segretario politico del Partito Comunista Italiano, ha diretto  con efficacia, dal 1972 al 1984, la filiale italiana dell'internazionale rossa. Come dirigente locale riconosciuto e di alto rango del movimento giovanile e poi del Partito ha portato avanti la linea del movimento marxista-leninista mondiale al di là della "diversità" esteriore del comunismo italiano nel contesto di uno dei Paesi più delicati e complessi dell'Occidente, Paese di frontiera con l'area socialista e sede allo stesso tempo del vertice mondiale della religione più diffusa del pianeta, il cattolicesimo na sorta quindi di "tana del nemico"
   Come tale è stato costantemente schierato dalla parte dei nemici dell'Occidente e dell'Italia in tutti i frangenti (dalla guerra del Vietnam ai missili Nato) in cui gli interessi di questi fossero in gioco nel mondo bipolare, diffamando e boicottando tutte le forme di resistenza alla comunistizzazione del globo, lottando contro tutti i regimi che ancora vi si opponevano, lanciando campagne pacifiste sempre a senso unico. 
   Mai una sola lacrima, una sola critica davanti agli orrori che il comunismo veniva accumulando in tutto mondo dove regnava e dove voleva instaurarsi: non per gli studenti e operai  di Budapest nel 1956, non per i monaci tibetani nel 1957, non per Praga nel 1968, non per la Polonia "normalizzata", non per i martiri anticastristi cubani, non per i GuLag, non per i Laogai: il torto, i martiri erano sempre a Occidente... e gli assassini sempre gli stessi: i "fascisti", i reazionari, i generali.

   A lui si deve il tentativo più sviluppato e articolato in termini di mezzi messi in campo e di sottigliezza ideologico-politica per instaurare nel nostro Paese un governo comunista forse "all'italiana" ma non meno socialista e, quindi, non certo "a misura d'uomo e secondo il piano di Dio", collaborando con i cattolici democratici della DC e con i socialisti. 
   A lui si devono sconfitte demoralizzanti e devastanti per la fibra morale del Paese e per i cattolici come quella in occasione del referendum sul divorzio e quella nel successivo referendum sull'aborto, successi per le sinistre avvenuti grazie al decisivo contributo della macchina politica e organizzativa di un partito che vantava allora circa ottantamila funzionari sparsi sul territorio, il larga misura mantenuti con l'"oro di Mosca" e con le tangenti sull'import-export  verso i Paesi dell'area del socialismo reale.

   A lui si deve il tentativo di mantenere nelle fabbriche (leggi nella Fiat) il clima d'impunità e di terrore che vi si era radicato negli anni della rivolta operaia iniziata nel 1969 e nel quale, come in brodo di coltura, erano germinate le Brigate Rosse: quel clima che fu rotto, letteralmente, dalla "marcia dei Quarantamila" quadri e operai avvenuta a Torino nel 1980. E sarà promotore della presa di posizione comunista contro il terrorismo ultras solo quando a cadere sotto il piombo deelle mitragliette dei brigatisti sarà il sindacalista comunista Guido Rossa: prima, tutto quello che faceva rivoluzione andava bene e andava "gestito" anche se nato fuori della "casa-madre". 

   Berlinguer è il principale ispiratore della cosiddetta "politica di austerità" che, nel corso degli anni Settanta del XX secolo, impose  all'Italia rompendo per la prima volta l'euforia e l'ottimismo seguiti al dramma della guerra persa un look triste e sinistro: divieto di libera circolazione dei capitali; aumento dei prezzi dei carburanti, blocchi della circolazione e targhe alterne per ragioni non ecologiche ; anticipo del telegiornale per invitare ad anare a letto più presto; città più buie. 

   Al di là delle intenzioni personali, egli in sostanza non fece mai nulla che accrescesse realmente il bene comune della nazione di cui era parte e parte eminente: lo sforzo stesso di migliorare le condizioni del "proletariato", di combattere alla fine degli anni Settanta il terrorismo ultracomunista e di "strappare" con Mosca sono da vedere sempre inscindibilmente legate al suo ruolo e alla sua membership di alto livello del movimento rivoluzionario di obbedienza moscovita in tutte le evoluzioni strategiche e in tutte le metamorfosi subite da quest'ultimo.

   Credo che i motivi di riflessione (e anche d'indignazione, anche se in questi giorni vi sono forse motivi più forti) su un piccolo gesto che però conferma un quadro siano almeno due. 
   Da un lato non credo basti essere un politico, ancorché "grande" (Hitler non è stato anch'egli, nella sua perversione, un grande uomo politico?), per meritare una strada, e che occorra invece essere oggettivi e indiscutibili operatori di bene comune per meritare il ricordo di tutti i cittadini, come avviene attraverso la toponomastica. 
   L'altro è che davvero il passato in questo Paese non vuol proprio passare. E che non vi è cenno (anzi, questo piccolo evento suona proprio come campanello d'allarme) di quella volontà di depurarsi delle scorie del Novecento, non solo materiali in primo luogo liberandosi del socialismo di Stato che soffoca la ripresa italiana, ma anche mettendo mano alla memoria collettiva espressa dai nomi delle vie; sarebbe un segnale importante: quante vie "Lenin", quante vie "Togliatti", quante vie "Berlinguer" vi sono ancora in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio? , ma soprattutto culturali che impediscono di affrontare, con tutta l'efficacia che richiedono e che il Paese è n grado di mettere in atto, le nuove sfide, sempre più incalzanti, cui ci troviamo di fronte hic et nunc, a inizio del Terzo millennio cristiano.

   Ritenere che Berlinguer sia stato un benefattore pubblico equivale in un certo senso a ritenere che le idee per cui si è speso e le politiche da lui perseguite e attuate siano valide e benefiche e non semplicemente un contributo, ancorché indiretto, a quella "vergogna" del secolo passato che è stato (e per milioni di asiatici tuttora resta) l'"impero del male", in tutte le sue svariate forme e declinazioni.
   Una vergogna, per i cui terrificanti crimini, per inciso, nessuno ha finora pagato: anzi, i suoi massimi corresponsabili sono ancora in via di "canonizzazione" da parte delle amministrazioni pubbliche progressiste odierne di un Paese che ne è stato anch'esso teatro e vittima.

sabato 7 gennaio 2012

IL "TRINARICIUTO"
NON SI E' ESTINTO


C'è chi si augura che l'attuale sospensione della vita politica se non è sospensione della democrazia, non si può non notare come il governo Monti abbia ridotto al lumicino la dialettica politica giovi a fa rinsavire i due schieramenti che si confrontano nel nostro sistema politico, troppo sbilanciati e reciprocamente aggressivi in passato e in un passato ancora recente.
   Premetto credo poco alla tesi degli "opposti estremismi" perché non mi pare affatto aderente alla realtà:mi è parso infatti essersi trattato piuttosto di una aggressione brutale, sguaiata e demolitrice della sinistra contro una destra di rinnovamento considerata "anomala", "eretica", "antisistema", solo perché non pregiudizialmente antifascista ancorché in realtà sanamente "post-antifascista" come da (presunto ) Dna della Repubblica.
   Comunque, non mi pare che  la "notte della politica" stia "portando consiglio", né che la "salutare sosta" stia giovando molto al cambiamento della sinistra, quanto meno se devo prestar fede ad alcune recenti dichiarazioni di un alto dirigente del Pd.
   Alle critiche espresse dal Pdl per bocca del suo capogruppo alla Camera, on. Fabrizio Cicchitto, in merito alla palese esorbitazione in senso politico di cui è protagonista il dirigente dell'Agenzia delle Entrate, dott. Attilio Befera e che si è evidenziata in particolare a seguito delle ispezioni effettuate dai finanzieri a Cortina d'Ampezzo, il responsabile per l'Economia del partito di Bersani Stefano Fassina quindi non quidam de populo ha replicato (cito da Avvenire del 7 gennaio) asserendo che "[...] Cicchitto aggredisce e tenta di intimidire il dottor Befera [...] Purtroppo si dimostra ancora una volta che una parte del centrodestra difende i grandi evasori".
   Che dire, prima ancora che sul modo di argomentare, sul modo di pensare di un possibile futuro ministro italiano dell'Economia? Ogni critica è un'aggressione e se i fatti urlano che il governo del centrodestra (eletto dai cittadini) ha conseguito successi di grande rilievo nella lotta all'evasione  
sulla cui entità gioca senz'altro il livello proibitivo dell'imposizione attuale e peserà ancor di più quello cui arriveremo entro breve grazie al "governo tecnico" , tanto peggio per i fatti. L'ideologia, da Marx in poi, dice che la destra protegge i capitalisti, i rentier, gli "squali" sociali, quindi il centrodestra (grazie per "una parte") protegge gli evasori: non fa una grinza.
   Ma dove pensa di andare il nostro Paese, che cosa pensa di fare il nostro dinamico Presidente della Repubblica finché esponenti di rilievo del maggior partito italiano di (ex-)opposizione penseranno in questo modo da autentici "trinariciuti" di guareschiana memoria? Mi pare una domanda,  più che legittima, doverosa.

venerdì 6 gennaio 2012



UNA SANTA ALLEANZA
A ROVESCIO?





La vicenda dell'"anomalia" ungherese posta sotto pressione da parte degli eurocrati di Bruxelles, degli Stati Uniti e del Fondo Monetario Internazionale sta rivelano sempre più il vero volto della unione di Stati di cui è parte integrante il nostro Paese.
   L'attacco pregiudiziale, scatenato a freddo, quanto meno in termini mediatici, solo in base a una presunta eterogeneità della carta fondamentale magiara rispetto ai principi della UE, senza alcuna negoziazione con l'interessato; l'uso cinico della leva finanziaria, aizzando contro un piccolo Paese centro-europeo la speculazione mondiale che, come si sa, conta soggetti dalle capacità ben più ingenti di quelle di un piccolo soggetto statale; la minaccia di sanzioni pecuniarie rivelano di primo acchito che nel caso della UE si tratta di un soggetto con cui non si scherza, come forse qualcuno dalle nostre parti ingenuamente ha potuto pensare. Le armi di cui si serve, infatti possono essere considerate le armi incruente ma non per questo meno armi autentiche con cui oggi si combattono i conflitti "asimmetrici" nel mondo globalizzato e neutralizzato: i media, la finanza, l'infiltrazione degli organismi sovranazionali.
   Ma, al di là del modus operandi pesante e poco leale, traspare qualcosa di più. E cioè che siamo di fronte a una unione concepita da alcuni come un impero della democrazia, come un organismo tenuto insieme non tanto dalla convenienza, ovvero dal bene comune, delle nazioni che ne fanno parte ma da un collante ideologico.
   Se il paragone non fosse del tutto irriverente, verrebbe in mente una sorta di Sacro Impero, dove ciò che è sacro non è il sacro vero nomine il cristianesimo, che legittimava l'unione medievale, era un valore metafisico, non brutalmente politico come nel caso della UE bensì dei principi e dei valori che si credono unici e universalmente benefici, ergo indiscutibili e da indossare sotto pena di grave sanzione. Una sorta di Repubblica tendenzialmente universale dove regnano il secolarismo, una libertà tendente alla licenza e una eguaglianza sempre più obbligatoria fra gli "altri" e i "piccoli", mentre fra questi e "chi conta", i "grandi", deve vigere un vallum invalicabile.
   Anzi, più che un "sacro" impero, l'Unione, da come si comporta verso il "diverso" ancorché limitatamente diverso , appare piuttosto una Santa Alleanza rovesciata, che, invece che pensare a salvare l'euro, vigila zelante e occhiuta sui popoli liberi affinché non smarriscano le vie della democrazia e del "politicamente corretto", intenzionata a intervenire con la forza per restaurare quesi valori, qualora presuntivamente violati.
Spero che l'Ungheria, il cui ultimo sovrano è stato il beato Carlo d'Austria, nazione che non ha avuto paura di sfidare il comunismo moscovita e di reagire con le armi all'invasione dei carri armati con la stella rossa sappia anche in questo frangente, in cui si trova sola come nel 1956 colpisce, per inciso, il pilatesco silenzio dei media cattolici ufficiali davanti alle sorti di un Paese la cui Costituzione contiene principi fra i meno lontani dalla dottrina sociale cristiana , resistere contro un avversario ancora una volta cento volte più potente.
  A margine di quanto detto, a chi pensa che lo Stato nazionale non serva più a nulla e che in genere si mostra assai informato in termini di "poteri forti" mi sento di suggerire di seguire con attenzione quanto accaduto con ultima tappa l'Italia e quanto accadrà con prossima tappa in Ungheria e di riflettere accuratamente su quanto potrebbe contare per esempio una Padania, ancorché regione ricca e avanzata ma si potrebbe predere a esempio la Baviera , davanti ai disegni e al fanatismo ideologico della élite eurocratica. 

mercoledì 4 gennaio 2012

UN'ALTRA NAZIONE
EUROPEA "NORMALIZZATA"?



Il primo minstro ungherese Viktor Orbán
Ragazzi, ci siamo: è ora il turno dell'Ungheria. La lista dei Paesi uropei da "normalizzare" non si è esaurita. 
   Dopo l'Italia toccherà alla nazione magiara di essere messa a norma. L'Unione Europea non può tollerare che di lei facciano parte Paesi che non abbracciano in toto il dogma
peraltro così vanificato in Italia in questi giorni della democrazia totale forse meglio: totalitaria e progressista.
   Basta che una nazione europea, fra l'altro una nazione-martire del socialcomunismo per cinquant'anni, come l'antica e nobile Ungheria, si dia istituzioni solo un po' "anomale", solo poco sensibili al "politicamente corretto", anche se  coerenti contutta una storia per molti versi splendida, per sollevare la reazione dei custodi dell'ideologia democratica universale.
   Dagli Stati Uniti a Bruxelles ai giornali italiani è un coro: Viktor Orbán sta cocciutamente portando il Paese verso un regime autoritario, parafascista, xenofobo, antiabortista, illiberale e, perché no?, latamente in odore di antisemitismo
   In genere non si dice mai su che quali fatti si fonda questo giudizio e l'appello alla reazione: si preferisce, come di consueto, dipingere vaghi "climi psicologici", di "tensioni", di "aria che tira", far passare modeste proteste di piazza delle sinistre della capitale per mobilitazioni popolari anti-regime, piuttosto che fare rilievi concreti, riferimenti a fatti che davvero mettano a rischio la libertà dei magiari e la collaborazione fra Paesi d'Europa. 
   Le accuse contro Orbán sono sostanzialmente quattro: una legge elettorale favorevole al partito che ha conseguito la maggioranza; un certo qual controllo dell'esecutivo sull'organismo giudiziario; qualche paletto messo ai media; il limite posto alla totale indipendenza della Banca centrale (che equivale alla totale sudditanza alla BCE), una costituzione che mette al bando molti casi di aborto legale: guarda caso tutti provvedimenti sono esattamente quelli che  Berlusconi avrebbe dovuto varare (restringere i casi di aborto gli avrebbe fidelizzato i cattolici al di là non di una ma di dieci Ruby...) per non essere disarcionato e che non ha varato. Machiavellismo o lungimiranza, in Orbán?
   Ma, invece che parlare di fatti, invece che difendere la legittimità e l'originalità delle diverse esperienze politiche, si preferisce creare una orchestra internazionale che intona la marcia funebre di un politico e di un partito invisi alla sinistra internazionale. Fra i più zelanti e sguaiati cantori si colloca il corrispondente de la Repubblica da Berlino Andrea Tarquini, evidentemente ben addestrato alla scuola del quotidiano debenedettiano, che della calunnia ha fatto non solo un venticello ma un uraganano e un serio impegno professionale.
   Scrive Tarquini: "In Ungheria tira aria di golpe bianco" (20/12/2011); Orban, regolarmente e democraticamente eletto dalla maggioranza degli ungheresi, è un "autocrate" (31/12/2011), il parlamento ha varato leggi "liberticide" perché il governatore della Banca centrale sarà nominato dal Presidente del Consiglio, in sostanza come da noi  (31/12/2011); "Capodanno nero sul Danubio"  (31/12/2011); "un paese mitteleuropeo magnifico e vitale ma sulla via di una dittatura dal crescente fetore di fascismo" (31/12/2011); "nuova Costituzione nazionalclericale, che definisce l'Ungheria 'nazione' (etnica, non di valori come Usa, Uk, Germania o Francia)"  (31/12/2011) e via di questo passo.
   Il cenno, fuori luogo, alla Mitteleuropa torna ancora in Bruno Ventavoli de La Stampa il 4 gennaio 2012, quando dopo aver parlato di "morbo antico che avvelena l'Ungheria", di "Paese [...] antimoderno" e di "borborigmi fascisti" evoca"lo splendido mondo borghese della Budapest imperial-regia [...] Brillantezza intellettuale, tolleranza, quella civiltà dele buone maniere indagata da Elias [...] case foderate da libri dove si parlavano in famiglia, correntemente, tre-quattro lingue" e via di questo passo.
   Premesso che c'è da chiedersi: se quel mondo era così bello allora perché diavolo gli amici democratici di Tarquini di qualche decennio fa lo hanno distrutto?, ci si accorge di quanto gli stereotipi di una cattiva letteratura siano diventati cattiva cultura. Mi piacerebbe sapere quante erano le case foderate di libri... e quanti ne sono finiti nelle stufe per combattere il gelo e quanti ne hanno lasciati intatti i comunisti ungheresi, quelli che hanno chiamato i carri armati con la stella rossa per reprimere la libertà ungherese, costata una rivoluzione fallita e una terribile repressione soprattuto a tanti che non avevano le case foderate di libri ma tiravano la lima.
  Ma anche per il meno sguaiato Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera Orbán "farnetica" (30/12/2011); e vuole "[...] inzeppare la   nuova Costituzione [...] con riferimenti alla mitologia nazionalistica, con Santo Stefano, la Sacra Corona, la diaspora delle minoranze magiare nel centro Europa" (30/12).
   A ruota anche Fabio Morabito de La Stampa, riprendendo un funzionario di Bruxelles, riporta: "Ci chiediamo se in Ungheria ci sia una democrazia o una dittatura" (5/1/2012).
   Ma pure, in certa misura sorprendentemente, il Foglio quotidiano (4/1/2012) parla, titolando, di "duce magiaro", quindi, nell'articolo, di "autoritario governo di destra", di "suicidio magiaro" risalente udite, udite! alle origini unne del nazionalismo ungherese e al "senso violento e malinconico di distruzione" che questa rivendicata ascendenza comporterebbe.

   Probabilmente lo scopo ultimo di questa mobilitazione della stampa è punire una nazione che, in controtendenza, ha deciso con voto popolare di porre restrizioni alla piaga del'aborto procurato, di cui in tempi di comunismo l'Ungheria, insieme ai suicidi, deteneva un triste primato in Europa.
   Si tratta di quella forma di coralità artificiale peraltro non nuova, di cui noi italiani abbiamo potuto fare una esperienza non secondaria nel "caso Berlusconi". 
   Per ora si tratta solo di una claque mediatica, ma iniziano ad affiorare i primi ricatti finanziari e fra non molto si comincerà a dare fiato alle trombe dello spread o di cose simili.
   Chi si illudeva che l'Unione sarebbe stata un concerto di nazioni libere e indipendenti e la rinuncia a quote di sovranità in forma sussidiaria solo uno strumento per meglio affrontare insieme sfide che trascendevano il singolo Stato è servito: il progetto eurocratico è un progetto teconocratico ma, come forse non è del tutto noto, non esistono tecnocrati neutri. 
   L'ideologia della tecnocrazia è il democratismo universale, la dottrina secondo cui l'assemblea politica che decide o pare decidere su tutto, soprattutto sulle questioni come quelle bioetiche sulle quali non ha invece titolo di decidere, anche se poi, sulle cose "sostanziali", viene messa in naftalina o subornata.
   E' quella democrazia che livella e appiattisce invece che rispettare le gerarchie sociali e di valore ed elevare il popolo, rispettandone la volontà, la cultura e l'identità storica.
   La futura Europa sembra presentarsi sempre più come una colossale repubblica "giacobina" centralizzata e secolarizzata all'estremo, che non come una unione di soggetti politico-nazionali liberi che stanno insieme perché il bene comune di ciascuno dei loro cittadini passa attraverso l'unione con gli altri Paesi.


martedì 3 gennaio 2012



Negozi aperti sempre, ovvero ancor più "coriandoli" sociali


Caro Giuliano Ferrara, questa volta non sono con te. 
Mi è successo raramente in passato, ma ora devo dire che non posso essere d'accordo con te: anzi, non lo sono per nulla. 
   La tua accoglienza dell'apertura indiscriminata dei negozi decisa dal  governo "tecnico" mi pare alquanto  
se non del tutto liberale in senso ideologico, ovvero peggiorativo.
   Ideologico perché pregiudiziale perché "vede" solo una fetta del reale e trascura le altre. Il provvedimento di liberalizzazione ha infatti una faccia che i due o tre benefici ipotetici invocati per vararlo nascondono del tutto. Ed è il suo impatto sociale. 
   Hai provato a immaginare (di certo le risorse prospettiche non ti fanno in genere difetto) l'impatto che una opzione generalizzata come quella che tu lodi avrà sui singoli e sui legami sociali già così erosi, se non deritianamente "coriandolizzati", nel mondo che ci circonda? 
   Provo a elencartene alcuni.
   A fronte di un incerto e probabilmente irrilevante aumento dei consumi e di un miglior servizio al pubblico (ma a quanti interessa realmente? i supermercati aperti fino a tardi e in domenica non sono già abbastanza?), quali saranno gli svantaggi per chi opera in posizione subordinata nel commercio?
Ti rendi conto che le donne potranno essere tenute al lavoro di più (tanto i negozi sono sempre aperti...) e avranno così ancora meno tempo da dedicare alla famiglia...
Che cosa accadrà degli esercizi a conuzione familiare o comunque piccoli che non avranno risorse per competere con quelli che potranno permettersi dipendenti in doppio o in triplo turno? Certo questi ultimi potranno assumere qualcuno in più: ma vale la pena a fronte di un declino certo dei piccoli commercianti?
Prova anche a pensare alla commessa che "stacca" a mezzanotte e va a casa da sola...: è lo stesso problema del terzo turno nelle fabbriche...

E il contenzioso che si aprirà fra lavoratori costretti a orari indesiderati? quanto caricherà ulteriormente la magistratura del lavoro?
Pensa a come sarà ancor più facile rapinare esercizi aperti nel cuore della notte: quanti potranno permettersi il poliziotto privato? e quante chiamate in più al già gracile servizio di pattuglia di PS e carabinieri?

Infine, poni mente a chi sarà in turno al sabato e alla domenica, magari fino a tarda notte: questi perderà il giorno di riposo condiviso con gli altri o con la maggioranza degli altri.
Considera una famiglia dove i due coniugi fanno due turni sfasati... che succede dei figli?

Ancora, come farà chi lavora di notte a fare attività collettive? sai quanta carità si fa nei giorni festivi comuni? non si rischierà che costui lavori ancora di più (tanto a casa non trovo nessuno...) oppure passi il tempo libero in attività individuali più o meno dissipatrici, per esempio alle slot-machines, onnipresenti e disponibili a tutte le ore? credi che questo ridondi a beneficio della nostra società a pezzi?

Già la gente ha poco tempo per pensare a coltivarsi l'anima: se gliene togliamo dell'altro (all'addetto e al consumatore) che cosa possiamo aspettarci come qualità del popolo se non un imbarbarimento ulteriore? Chi lavorerà alla domenica come potrà onorare il precetto festivo? Finché si tratta di nicchie il problema è meno serio, ma quando il cambiamento investe tutto un settore così vitale per il popolo come il commercio come non pensare che il momentum dei fenomeni indotti non porterà a cambiamenti devastanti?


   Quando ti deciderai a piantarla di fare il liberale-libertario e varcherai la soglia di un autentico e sano conservatorismo? Che, come forse sai, non disprezza affatto le libertà (al plurale) ma detesta la libertà individuale quando questa va a detrimento della libertà dei corpi sociali e dei valori che vanno al di là del puramente utilitario o materiale.
   
   Tuo 
   
   OS

lunedì 28 novembre 2011

Quali esiti per il "governo
del Presidente"?


Qualche piccolo flash sulla condizione oggettivamente anomala in cui verso il nostro amato Paese ironia della sorte a centocinquant’anni dalla sua nascita come nazione libera e sovrana…
Sono sempre più persuaso che non si esca dalla crisi se non ristrutturando culturalmente l’ex opposizione a Silvio Berlusconi.
La difficoltà a governare del centro destra è stata determinata di proposito non dico influenzata — dall’atteggiamento che i partiti di centrosinistra hanno mantenuto nel corso della legislatura. Quella affermazione che “l’Italia è in macerie e si deve ricostruire” ne rivela in maniera efficace e sintetica il tour d’esprit generalizzato. Il governo eletto, per come è, non per quel che fa, è un’anomalia e un danno e va rimosso. Mai come in questi anni passati la delegittimazione dell’avversario — si badi bene: a senso unico, da sinistra verso la destra, mai viceversa —, quel male chiamata anche “divisività” da importanti politologi, è trionfata. L’avversario non ha le carte in regola: non si riconosce nel CLN ma vuole, anzi, peggio, riformare la Costituzione perché ormai invecchiata e solcata da profonde venature ideologiche. Per questo deve sparire, deve essere debellato e ucciso. Non vi sono vie di mezzo. Il monstrum va soppresso. Allo scopo sono leciti tutti i mezzi: non proposte politiche alternative, bensì l’ostruzionismo, la diffamazione privata, la piazza, la corruzione, la leva giudiziaria — che ha imparato la lezione: condannare al carcere è impossibile, ma colpire le finanze private del premier, sì, eccome! e in che misura! —, le difficoltà esterne — senza esitare a schierarsi con i nemici, non di Berlusconi, che li ha riempiti di regali, ma dell’Italia—, i buffoni di corte, i talk show, la satira, la feccia armata di statuine di piombo, i media intossicati e così via…
Tralascio di proposito la tesi di un attacco borsistico alle società di Mediaset, non perché non sia una ipotesi plausibile , ma perché vedo poco Berlusconi — che peraltro ha smentito — gettare via decenni di politica per il Paese solo per minacce alle sue finanze.
E tutta questa macchina infernale, questa idra dalle sette teste — magistratura di sinistra, media, sindacati, Unione Europea, gl’intellettuali, i propri alleati che hanno tradito —, ha avuto come unico scopo la caduta del “despota”.
Come i fatti rivelano sempre più chiaramente, non è stata l’emergenza a far cadere il Berlusconi IV, ma questa tensione andata sopra le righe e trasformatasi non tanto in paralisi dell’esecutivo, quanto al massimo in affanno.
Questa difficoltà, confrontata con una situazione esterna generale diventata difficile e con le pressioni delle istanze europee, hanno indotto i veri centri del potere in Italia, quello dove il Risorgimento e il Secondo Risorgimento, la Resistenza, sono ancora il mito fondante e irrevocabile a intervenire. Non appena il 309° deputato si è sfilato chissà per quali grandi motivi ideali… , è scattato il piano, probabilmente predisposto da tempo per normalizzare il Paese. Che vuol dire, nell’ipotesi più generosa, solo rimettere ordine nella competizione politica ma invece, nella peggiore, eliminare l’anomalia berlusconiana distruggendone non solo il potere ma anche la leadership  e puntando su altre forme partitiche. Non solo: ma anche modificare, di fatto o di diritto, la Costituzione e non come il tempo che è passato e la storia che ha giudicato richiederebbero, ma nel senso di conservare il coagulo ideologico-progressista delle origini e inaugurare forme di presidenzialismo che consentano di tutelarlo dal successo di forze politiche veramente innovatrici.
Già ora, con il governo “tecnico” sui costi del riavvio della vita politica con uomini nuovi e sulla efficacia, almeno iniziale, di costoro gravano forti dubbi sostenuto dalle tre aree partitiche di centro, siamo di fronte a un governo del Presidente, di unità nazionale ma senza emergenza reale —, che imbarca forze politiche non elette dai cittadini, e che sempre più dipende dai voleri del Quirinale, il quale, di suo, ha accentuato ulteriormente il già sconcertante protagonismo che trova il suo rovescio in un presidente Giovanni Leone, cattolico, che firma la legge 194 che legalizza l'aborto procurato come atto dovuto, non solo pilotando i partiti ma facendosi, pur sempre fra le righe, propulsore di soluzioni legislative di parte.
Per questo le elezioni si faranno il più tardi possibile. Anche se Berlusconi non ci fosse, come escludere a priori un nuovo successo del centrodestra, di cui forse le lacrime e il sangue della manovra economica dei tecnici sarà un incentivo — “Berlusconi ha tolto l’IVA, gli amici di Monti l’hanno rimessa” —? Per questo prima di rifarle i centri del potere istituzionale permanente vorranno assicurarsi, nella misura del possibile, che la sinistra — che nei valori del CLN si identifica — non torni all’opposizione e riapra la disastrosa offensiva multilaterale, quel circo Barnum cui oggi è stata imposta la sordina.
Ma il cuore del problema è proprio lì: non è lecito arroccarsi, santificare perennemente le scelte di settant’anni fa, cristallizzare una situazione. Oggi i “valori” desunti dalle ideologie, compresa quella democristiana, sono un relitto, la storia ne ha mostrato gli aspetti peggiori: bisogna cambiare rotta, bisogna ricuperare quello che di buono vi era in radice — le domande, non le risposte — e rimetterlo all’orizzonte del Paese in forme che non demonizzino l’avversario e non si traducano in un handicap sfavorevole per il governo del Paese. Bisogna per questo magari con l’aiuto, non per decisione, di quei poteri supremi evocati più sopra, una volta cambiatone il titolare — davvero che le forze che sono state all’opposizione durante l’ultimo governo Berlusconi cambino profondamente, si liberino dalle scorie del passato, si riposizionino come sinistra non ideologica, che mantengano gli stessi paradigmi egualitari ma li declinino in un mondo oramai molto diverso rispetto a quello dell’antifascismo o dell’inizio della Guerra Fredda.
Altrimenti, se si troveranno ancora all’opposizione e il centro destra non avrà imparato la lezione del 2008-2011 — ma francamente non vedo come possa riconquistare l’idra dalle sette teste —, finirà come nel 2011; se governerà, il suo anacronismo costituirà un grave freno per lo sviluppo del Paese.
 Forse è una chimera e certo un’opera ciclopica, ma sinceramente non vedo altre vie di uscita.

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